Il servizio pubblico radiotelevisivo
Nella tradizione culturale delle società europee
di televisione pubblica la progressiva rinuncia, l'una dopo
l'altra, alle funzioni tipiche di servizio pubblico dovrebbe
essere fortemente traumatica. Eppure alcuni di questi traumi
si sono già consumati senza che si levassero grandi
pianti: che dire per esempio della facilità con cui
i maggiori canali generalisti hanno abbandonato i programmi
per bambini e per ragazzi? O che dire a proposito di un sistema
di informazione sulle istituzioni attento soprattutto agli
interessi degli individui e dei gruppi anziché a quello
della collettività? Pensiamo anche a quanto sia marginale
il servizio reso alle minoranze etniche, culturali, religiose
ed ancora di più ai disabili in termini di programmazione
dedicata. Molto bassa è la quota riservata dall'offerta
radiotelevisiva della RAI alle persone sorde e cieche rispetto
ai corrispondenti organismi televisivi pubblici.
E' necessario, quindi, tenere conto
delle problematiche dell'handicap per rendere in larga
parte fruibili i programmi che potrebbero essere prodotti
da un nuovo servizio come Infocivica. Il servizio pubblico è indissolubilmente
legato all'audience generalista. Se questa venisse meno,
molti argomentano, il servizio pubblico ne risulterebbe svilito
e delegittimato. Ma anche il degrado della qualità oggettiva
può uccidere il servizio pubblico. Invece pochi programmi
di qualità o con specifiche finalità di servizio
in fasce di basso ascolto fanno da foglia di fico, in condizioni
di sostanziale trascuratezza editoriale, alle cadute di livello
del prime time e di altre fasce importanti.
Il fenomeno centrale dei media in questi
anni è la
diversificazione. I canali si moltiplicano, in qualche caso
si semplificano e i costi si abbattono, i giovani assaporano
la possibilità di uscire dal ruolo passivo, di trasformarsi
in produttori di media. La rivoluzione digitale accompagna
l'illusione che tutto sia possibile; ma per qualche eccezione
che vede informazioni autogestite e prodotti fatti in casa
accedere ai grandi media industriali resta la regola di una
comunicazione di massa rigorosamente centralizzata. Il broadcasting generalista ne è ancora
il massimo esempio vincente. Dunque sono canali fortemente
minoritari quelli che gestiscono le questioni sociali. Solo
la discussione politica, spesso intesa nelle sue manifestazioni
più spettacolari e conflittuali, trova parziale sbocco
nel mainstream . Altri casi di spazi protetti possono
apparire cocciutamente sopravvissuti a esigenze superate,
retaggi del passato destinati a sparire.
Bisogna tornare a chiedersi sei media
abbiano altri ruoli da svolgere. Possiamo permetterci solo
questo uso dei media? In fondo oggi i servizi al cittadino,
l'accesso alle informazioni di pubblica utilità, l'interattività di servizio,
i generi educativi possono trovare specifici canali di diffusione
a costi relativamente contenuti. Perché dunque preoccuparsi
se i grandi canali maggioritari seguono strade più facili
e competitive?
Questa è una opinione diffusa
che non deve essere trascurata: potrebbe essere quella
storicamente vincente.
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