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Seminario di Infocivica in collaborazione con Globus et Locus

Milano - 15 gennaio 2009

Presenti: Piero Bassetti, Fausto Colombo, Livia D’Anna, Edoardo Fleischner, Giacomo Mazzone, Gerardo Mombelli, Bino Olivi, Remigio Ratti, Giuseppe Richeri, Bruno Somalvico, Ivana Trevisani

Fausto Colombo: oggi è assodato che non si possa pensare il servizio pubblico se non in modo multimediale e non c’è documento dell’UE che non affermi questo. Poi naturalmente nel momento in cui si passa dalla dimensione tradizionale delle radiotelevisioni solamente push a una dimensione pull le cose si complicano: costruire un archivio, renderlo fruibile, fare una tv a menu (stile Alice tv) mettere l’utente in condizione non solo di fare downloading ma uploading…Tutto questo è problematico nei fatti, ma in linea di principio, essendoci stato un passaggio tecnologico in direzione del multimedia e del cross mediale, il fatto che si debba per forza ripensare il servizio pubblico in direzione multimediale, mi sembra abbastanza triviale (nel senso francese del termine).
L’altra questione è delle dimensioni di questo locale-globale. Qui la questione dell’Europa è un vincolo in qualche modo. Quando si parla di servizio pubblico, il modello di servizio pubblico europeo ha una sua coerenza, semmai oggi assistiamo a una tripartizione dei progetti di riforma tra servizi nord europei, quelli dell’area mediterranea e dei paesi dell’est. Esiste comunque una dimensione europea molto forte e che costituisce un vincolo.
Date queste premesse, vengo al dunque: non è vero che tutti fanno servizio pubblico, non è vero che il mercato fa servizio pubblico. Il servizio pubblico non è un servizio di pubblica utilità, ma un servizio pubblico appunto. Nella dimensione di mercato l’utente è inteso come destinatario commerciale o come cliente se va bene. Il servizio pubblico è invece un servizio garantito dallo Stato rispetto ai bisogni del cittadino, non del cliente. Questo va ricordato per capire perché è così importante riformare il servizio pubblico, perché garantisce un diritto di cittadinanza.
Scendendo dai massimi sistemi al problema della radiotelevisione italiana. La televisione italiana durante il tanto deprecato periodo monopolista ha svolto un ruolo di sfera pubblica. Naturalmente poi ci sono state le degenerazioni, la lottizzazione. Ciò è avvenuto attraverso un processo di cooperazione dell’intellettualità tradizionale italiana , perché la tv italiana l’hanno fatta signori come Gadda, Eco, ecc insieme a quelli che provenivano dalla radio, ecc. A un certo punto sono successe due cose decisive: lo sviluppo del sistema misto che, in termini di contenuto, ha significato che noi siamo passati da una sfera pubblica mediata dagli intellettuali a una sfera pubblica emotiva diretta (per capire il passaggio l’esempio è Vermicino), una tv in cui non spieghi più, quella che poi porta al reality. La seconda cosa è un processo di trasformazione del personale e delle filosofie di riferimento servizio pubblico che di fatto comincia a inglobare le logiche della tv commerciale. Questo porta alla conseguenza che noi non abbiamo un servizio pubblico distinto nelle sue logiche e filosofia. Altro punto: come viene reclutato il personale. Per molto tempo e in molti servizi pubblici segue canali specifici (concorsi, ecc.). Questo varrebbe per qualsiasi servizio pubblico multimediale. Questa logica del reclutamento è ancora valida.
Cosa penso che bisognerebbe proporre: io sono piuttosto drastico sul fatto che il servizio pubblico multimediale non dovrebbe essere sovvenzionato dalla pubblicità, dovrebbe esserlo in parte dal canone e in parte da investimenti dello stato.
In una società moderna il bisogno di servizio pubblico aumenta, non diminuisce. Abbiamo visto che effetti produce far fare tutto al mercato. Non è vero che il mercato naturalmente funziona meglio.
Il tema fondamentale è la formazione. Per avere un buon servizio pubblico devo farlo con persone preparate.
Perché non ripensare alcune realtà come i vecchi centri di produzione locale convertendoli in centri di formazione per il personale. Alcuni esistono, ma vanno ripensati, tra l’altro non c’è nessuno automatismo che le persone formate vadano poi in Rai.
L’altro questione è quella dei contenuti. Ne individuerei tre: la grande sfera pubblica nazionale, che va riaggregata con una identità nazionale, la questione delle identità locali e dell’identità europea. Sulle identità locali: il nostro servizio pubblico radiotelevisivo si comporta come se le identità locali non esistessero, non c’è un servizio dedicato per es. alle comunità immigrate.