Seminario di Infocivica
in collaborazione con Globus et Locus
Milano - 15 gennaio 2009
Presenti: Piero Bassetti, Fausto Colombo, Livia D’Anna, Edoardo Fleischner, Giacomo Mazzone, Gerardo Mombelli, Bino Olivi, Remigio Ratti, Giuseppe Richeri, Bruno Somalvico, Ivana Trevisani
Piero Bassetti: l’idea di partenza è quella di dare all’incontro di oggi un aspetto seminariale, in cui la problematica del ruolo e delle missioni del servizio pubblico nel contesto glocal venga posta dialetticamente a partire da due strutture diverse come Infocivica e Globus et Locus e possa arricchirsi degli interventi dei presenti, ognuno dei quali è chiamato a dare il suo contributo per noi di grande interesse.
Per quanto riguarda Globus et Locus, noi in dieci anni di lavoro, abbiamo fatto una constatazione fondamentale, cioè che la glocalizzazione è un cambio d’epoca radicale. Come del resto è scritto chiaramente nel manifesto dei glocalisti, questo cambiamento epocale non dipende affatto da mutamenti dei processi economici o politici, ma da una innovazione epocale dei concetti di tempo e spazio che i progressi tecnologici hanno introdotto nel mondo. Chi è stato globalizzato non è il mondo ma noi, e questa è una trasformazione antropologica e sociologica radicale. In questo contesto i media sono un elemento fondamentale, dal momento questo passaggio all’epoca glocal distrugge l’ordine nazionale e internazionale e crea un ordine nuovo in cui i media sono attori e beneficiari, ammesso che riescano a cogliere la portata di questa rivoluzione.
L’appello di Amalfi si era posto in un’epoca mondiale diversa, in cui la dimensione nazionale era quella dominante e non veniva messa in discussione. L’idea di comunicazione era fondamentalmente derivata da quella dell’araldo (al servizio del potere centrale) ed era una comunicazione unidirezionale, “one way”. Il rapporto tra un’organizzazione preposta a essere l’araldo della società nazionale e i centri di potere della stessa (governo) era quella ovvia di un rapporto di dipendenza. Oggi questo rapporto è finito, innanzitutto perché la nostra dimensione nazionale e statuale di riferimento è l’Europa. Se perfino l’ordine pubblico ha già accettato la dimensione europea (Schengen), è chiaro che non è pensabile che la comunicazione si chiuda nel confine dei singoli stati. Se questo è, quello che a noi interessa oggi non è tanto la Rai, ma semmai Murdoch (Sky). Il soggetto più coerente con le sfide di comportamento che la rivoluzione comporta in termini di audience e mezzi è Murdoch perché partendo da un impostazione globale, affronta il tema glocale e in un certo senso si muove in un’altra epoca.
Noi siamo oggi di fronte non a una sfida di mutamento comportamentale della Rai, ma di mutamento ontologico. Il discorso non è più riformista ma rivoluzionario. Detto questo, io sono disposto anche a fare del riformismo più moderato. L’incontro di oggi ha questa logica: voi siete all’interno di un discorso riformista, come era quello di Amalfi, dove si auspicavano degli aggiustamenti ma in fondo l’ossatura dell’identità della Rai non veniva intaccata.
Oggi se vogliamo riprendere l’iniziativa di Amalfi, aggiornarla e proporci di andare oltre, a me sembra interessante il confronto fra un’ipotesi massimalista come la mia che ha la Rai attuale in coda e un’ipotesi minimalista come la vostra che ha la globalizzazione davanti, secondo cui lo stato c’è ancora e continuerà ad esistere per molto tempo.
In mezzo ci sono vari ambiti di trasformazione: la problematica europea è già presente, l’evoluzione tecnologica (innegabile) sta trasformando gli strumenti e i rapporti con l’audience. Il nostro obiettivo è quello di definire un progetto di azione su come si possa realizzare una marcia di avvicinamento al nuovo. Su questo varrebbe la pena di fare uno scambio di riflessioni, che sia il presupposto a un’azione coerente.
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