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DOSSIER SUL SEMINARIO DI AMALFI ( 15-16 settembre 2000)

Tv e comunicazione di pubblica utilità/5

Rivista Italiana di comunicazione pubblica, II (6) dicembre 2000, pp. XXX-XXX

Le fonti audiovisive nella ricerca storica: media e nazione

Maria Luisa Merolla

L'avvento dei nuovi media ha di recente rilanciato e stimolato il dibattito sul rapporto tra ricerca storica e mezzi di comunicazione di massa. Le nuove tecnologie aprono infatti inedite frontiere anche per la ricerca e per la divulgazione della storia, tuttavia non si può dimenticare che i media hanno sempre rappresentato una fonte fondamentale per gli storici. La carta stampata, nei termini di riviste, quotidiani, editoria, pubblicazioni, così come la cinematografia, i cinegiornali ma anche la fotografia, sono delle fonti usate dagli studiosi quanto le carte d'archivio e gli atti parlamentari.

La nascita della televisione, come era già avvenuto in parte anche per il cinema e per la radio, ha posto gli storici di fronte a due nuovi ordini di problemi: una questione metodologica ed una questione di merito Il problema metodologico, che ovviamente riguarda l'uso degli audiovisivi nella ricerca storica, è stato a lungo dibattuto nel corso degli ultimi decenni al fine di garantire l'attendibilità della fonte, mentre quanto mai aperta è l'indagine su nuove tecnologie e strategie di ricerca .

Ciò che però è particolarmente interessante da notare, nell'ambito di una riflessione su memoria storica e informazione pubblica, è l'altra questione che la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, e soprattutto l'avvento di un medium come la televisione, ha prospettato agli studiosi. Si tratta di una questione non di metodo, bensì di contenuto: i media, oltre che strumento per la ricerca storica, sono essi stessi oggetto di studio e di analisi storica, in quanto protagonisti diretti delle trasformazioni della società contemporanea. Ed è naturale dal momento che ci siamo lasciati alle spalle la società industriale per entrare nella società dell'informazione e della conoscenza. Del resto fin dalla sua prima comparsa, il nuovo medium televisione incide nella realtà italiana in modo dirompente, accelerando processi in lenta evoluzione da anni e anni e diventando esso stesso creatore di eventi.

Uno degli esempi che si può portare è il rapporto tra nuovi media e questione nazionale. Come si può capire il caso è significativo, considerando quanto la questione della nazionalizzazione delle masse – cioè del tormentato percorso di integrazione delle masse italiane nello Stato nazione – sia stato e sia a tutt'oggi uno dei problemi più dibattuti a livello storiografico . Quello dell'identità e dell'unità nazionale è un tema centrale nella storia della società italiana a partire dall'ottocento, dalle origini dunque del processo unitario: l'assenza o la scarsa diffusione di una coscienza nazionale, radicata e condivisa dai diversi ceti della sua popolazione, cioè il tema della nazione incompiuta, è un problema che si ripresenta in modo esplosivo ad ogni svolta critica della storia d'Italia, nei primi anni del novecento così come dopo la prima guerra mondiale, e così via.

È già dagli anni trenta, durante il Regime, che i media cominciano a rivestire un ruolo assai significativo nel processo di nazionalizzazione delle masse, svolgendo un'opera di omologazione culturale, rappresentando un veicolo di identificazione nazionale, attraverso la diffusione di miti e di simboli, e prestandosi per un “uso pubblico della storia”. È la radio in primis a rappresentare un veicolo di nazionalizzazione delle masse italiane, tant'è che “l'Eiar contribuì probabilmente assai più alla nazionalizzazione degli italiani che non alla loro fascistizzazione” . La radio si configura infatti come un mezzo di comunicazione a carattere accentuatamente nazionale, il meno legato a specifiche realtà locali. Tuttavia, il processo di nazionalizzazione inaugurato nel periodo dittatoriale manifesta tutta la sua debolezza, proprio durante la seconda guerra mondiale, un momento di verifica cruciale per i sentimenti nazionali di ogni popolo, chiamato al sacrificio estremo per la patria. Nel secondo dopoguerra sono i partiti antifascisti, nuovo ceto politico dell'Italia, a doversi fare carico della ricomposizione di una nazione. Al momento di ricostruire dopo cinque anni di guerra mondiale un'Italia in macerie, il problema della nazione riemerge con forza all'attenzione di tutti i partiti antifascisti di destra, di sinistra e di centro, impegnati a legittimarsi come classe dirigente della nuova Italia. Bollati per vent'anni dalla dittatura come forze antinazionali, gli antifascisti hanno bisogno di riacquistare la propria identità nazionale e di rivendicare con fermezza il binomio democrazia – nazione.

Così se già durante la dittatura fascista viene affidato alla radio un'esplicita funzione di omologazione culturale, sicuramente l'azione avviata allora viene proseguita dalla Rai democristiana del dopoguerra, con una politica culturale che si impernia sulla ricomposizione e sulla valorizzazione dell'identità nazionale . Un'opera questa che si svolge tramite programmi volti all'educazione civile e culturale, alla promozione dell'unità e solidarietà nazionale, oltre che alla capillare opera di alfabetizzazione della popolazione italiana. L'attenzione al mondo dell'adolescenza e dell'infanzia continua a rappresentare nell'immediato secondo dopoguerra un punto di forza della proposta produttiva dell'azienda radiofonica: non a caso, scopo del terzo canale è proprio quello di diffondere la cultura italiana al di fuori delle riviste specializzate, indirizzandola ad un pubblico notevolmente più vasto. Ma anche i giochi radiofonici, come Il Campanile d'oro , gara tra paesi da cui sarà tratto alla Tv nel 1958 Campanile sera , sono spesso strumenti per far conoscere l'Italia ai cittadini italiani. Una stimolante informazione culturale è inoltre fornita dalla formula dei dibattiti, prima con La discussione è aperta , poi col celebre Convegno dei Cinque , a cui s'ispirerà per la televisione Tribuna politica , in cui si incontrano platealmente le diverse anime del mondo italiano della cultura, della politica, delle arti e delle scienze per rispondere alle domande degli ascoltatori. Ancora rilevanti per la ricostruzione di un sentimento nazionale sono le iniziative di solidarietà, come per esempio in occasione dell'emergenza dell'alluvione nel Polesine nel 1951.

Determinante, negli anni della Ricostruzione, è anche il ruolo svolto dai cinegiornali prodotti dalla società Incom. Non a caso lo stesso De Gasperi, in occasione della sua visita nel 1950 agli stabilimenti Incom per le celebrazioni del n. 500 del cinegiornale, esaltò “la funzione di intenso carattere nazionale” di questa produzione. Quello che viene prodotto è infatti un cinegiornale che già negli anni cinquanta viene esportato all'estero e tradotto in quattro lingue volto a riscattare l'immagine debole dell'Italia .

Indubbiamente, più di qualsiasi altro mezzo di comunicazione di massa, è la televisione ad accelerare il fenomeno di nazionalizzazione delle masse in Italia, a contribuire alla formazione di un'identità storica, linguistica e territoriale degli italiani, basata su valori democratici. È tramite il mezzo televisivo, e grazie alla sua diffusione, che i contenuti culturali propri della nazione possono diventare un fenomeno che riguarda e coinvolge veramente quelle fasce della popolazione italiana che non accedono ai giornali. Grazie al nuovo mezzo di comunicazione di massa, gli italiani possono per la prima volta riconoscersi nello stesso territorio, ma soprattutto nella stessa lingua. Già nei primi anni sessanta Tullio De Mauro osserva che in Italia l'unificazione della lingua avviene parallelamente alla crescita delle antenne televisive e determina la sconfitta dei dialetti come strumenti di separazione, evidenziando il contributo dell'omologazione linguistica nella costruzione di una nazione, e nella definizione di una sua cultura .

Ad essere svelata, attraverso immagini, luoghi e situazioni è una patria fortemente simbolica e precedentemente sconosciuta agli occhi del suo stesso popolo. La presenza dell'apparecchio televisivo offre, dunque, un'inedita occasione di confessione pubblica, di recupero storico, di solidarietà manifestata. Nel 1961, con l'introduzione del secondo programma, la cultura e l'informazione vengono valorizzate nell'ambito di una politica di programmazione che adotta i modelli della rubrica culturale, dell'indagine sociale, della riflessione di attualità ma anche della ricostruzione storica, così come la Tv teatro proprio dagli anni sessanta si rivolge di preferenza verso temi di attualità o di carattere storico .

La risposta positiva degli utenti all'opera di istruzione e di omologazione culturale inaugurata dall'ente radiotelevisivo è già rilevabile nel 1955 attraverso i dati dell' Indagine sull'ascolto della radio e della televisione effettuato dal Servizio opinioni, che traccia una sorta di “mappa” dei radioascoltatori. Una conferma si ha anche nel prezioso lavoro di Pierpaolo Luzzatto Fegiz che a partire dal 1951 attraverso una serie di indagini campionarie Doxa, raccoglie una messe di dati statistici per il suo volume Il volto sconosciuto dell'Italia , edito nel 1956 e aggiornato nel 1966, la prima esaustiva indagine sugli atteggiamenti e sui comportamenti individuali, sociali e politici dei cittadini italiani. La televisione rivela il suo ruolo unificatore della realtà sociale del paese, così come altri strumenti dell'industria culturale e la stessa scuola non erano riusciti a realizzare, proprio tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta in un momento particolarmente favorevole per il consolidamento dell'identità nazionale. Miracolo economico e relativa distensione internazionale sono fattori fondamentali nel cambiamento del clima politico italiano e nell'avvio della nuova stagione di centro sinistra che, allargando le basi del consenso, consente un più agevole sviluppo a una cittadinanza repubblicana più piena. A questi fattori di cambiamento politico, la storiografia più recente ha ormai affiancato anche la diffusione dei nuovi media: se è vero che i nuovi media – come è vero – accelerano i processi di acquisizione di una piena identità nazionale e di un senso più diffuso di cittadinanza, allora il sistema politico basato sugli equilibri centristi, vale a dire su una polarizzazione della società su schemi del passato, diventa incompatibile.

Sono passati ormai quarant'anni dagli anni sessanta e decennio dopo decennio il protagonismo dei media nelle vicende della nostra società è diventato sempre più evidente e incontestabile. Così come è ormai evidente l'impossibilità di portare avanti ricerche e studi di storia contemporanea a prescindere dallo studio e dalle indagini su questa fonte adesso diventata primaria. È dunque di importanza fondamentale che si attivi una collaborazione diretta e organica tra il mondo degli storici e la galassia televisiva per mantenere viva la memoria storica. In un universo in piena globalizzazione – o se si vuole rimanere anche ad una visione più ristretta – nell'Italia dell'Unione europea dove si perdono rapidamente pezzi di sovranità nazionale, l'identità di ciascuno è affidata ormai solo alla memoria storica. Il servizio pubblico radiotelevisivo non può non avere questo compito al primo posto nelle sua agenda o nel suo palinsesto. È un compito per così dire istituzionale che avrà, a mio avviso, anche la conseguenza positiva di colmare alcuni ritardi o comunque di stimolare la ricerca storica dove ancora sono vaste le sacche di diffidenza o di pigrizia nell'approccio alle complesse metodologie della ricerca storica sui nuovi media.

. Sull'uso delle fonti audiovisive nella ricerca storica si veda: G. De Luna, L'occhio e l'orecchio dello storico , La Nuova Italia, Firenze 1993; N. Gallerano (a cura di), L'uso pubblico della storia , FrancoAngeli, Milano 1995; M. Isnenghi, Storia e comunicazioni di massa. Il caso italiano (1945-1980) , in Il mondo contemporaneo – Gli strumenti della ricerca, a cura di G. De Luna, P. Ortoleva, M. Revelli, N.Tranfaglia, La Nuova Italia, Firenze 1983.

. Tra i più recenti contributi su Nazione e Identità nazionale in Italia si rimanda a: E. Aga Rossi., Una nazione allo sbando. L'armistizio italiano del settembre 1943 , Il Mulino, Bologna 1993; N. Bobbio, R. De Felice, G. E. Rusconi, Italiani amici e nemici , Donzelli, Roma 1996; N. Bobbio, Quale Italia?, in Reset , n. 13, gennaio 1995; R. De Felice, Rosso e Nero , (a cura di) P. Chessa, Baldini e Castoldi, Roma 1995; E. Galli della Loggia, La morte della patria. La crisi dell'idea di nazione tra Resistenza, antifascismo e Repubblica , Laterza, Roma-Bari 1996; S. Colarizi, Storia del Novecento italiano , Rizzoli, Milano 2000; E. Gentile, La Grande Italia. Ascesa e declino del mito della nazione nel ventesimo secolo , Mondadori, Milano 1997; C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza , Bollati-Boringhieri, Torino 1991; G. E. Rusconi, Se cessiamo di essere una nazione , Il Mulino, Bologna 1993; P. Scoppola, 25 aprile. La Liberazione , Einaudi, Torino 1995; G. Spadolini (a cura di), Nazione e nazionalità in Italia , Laterza, Bari 1994; N. Tranfaglia, Un passato scomodo. Fascismo e postfascismo , Laterza, Roma-Bari 1996; A. Ventrone, La cittadinanza repubblicana. Forma-partito e identità nazionale alle origini della democrazia italiana , Il Mulino, Bologna 1996.

. P. Ortoleva, Linguaggi culturali via etere , in (a cura di) S. Soldani, G. Turi, Fare gli italiani , vol. II, Il Mulino, Bologna 1993, p. 461.

. Cfr. F. Monteleone, Storia della radio e della televisione in Italia. Società, politica, strategia e programmi , Marsilio, Venezia 1992, pp. 275-280.

. Cfr. M. A. Frabotta, L'Italia e il mondo nella dimensione degli anni '50: i cinegiornali Incom , in L'Italia e la politica di potenza in Europa (1950-1960) , a cura di E. Di Nolfo, R.H. Rainero, B. Vigezzi, Marzorati, Milano 1992, pp. 371-387.

. Cfr. T. De Mauro, Storia linguistica dell'Italia unita , Laterza, Roma-Bari, 1963.

Cfr. F. Anania, La Rai scrive la storia dell'Italia repubblicana, in “Memoria e Ricerca” n. 10, 1997, pp. 71-94.