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DOSSIER SUL SEMINARIO DI AMALFI ( 15-16 settembre 2000)

Tv e comunicazione di pubblica utilità/2

Rivista Italiana di comunicazione pubblica, II (6) dicembre 2000, pp. XXX-XXX


UNA PROPOSTA PER LA TELEVISIONE PUBBLICA

Bino Olivi

Il dibattito sulla televisione pubblica verte sulla sua sopravvivenza e quindi sulle ragioni della sua indispensabile riforma nel nuovo universo multimediale. È dunque necessario oggi, dopo anni di serrate discussioni in proposito, trarre alcune considerazioni su alcune incombenti linee decisionali in sede comunitaria che sembrano consolidarsi come incontrovertibili: la distinzione tra televisione pubblica e privata è sempre di più collegata alla diversa natura delle risorse a loro destinate.

La filosofia che sottende alla sopravvivenza della televisione e del sistema audiovisivo pubblico, sorretto dal canone, sembra destinata a prevalere, almeno sino a quando non si consolideranno accenni di un mutamento di indirizzo politico dei principi della concorrenza, tali da modificare le interpretazioni correnti sull'applicazione delle regole dei Trattati europei nel prossimo e medio futuro.

Di più, l'interpretazione del canone come corrispettivo di una prestazione pubblica privilegiata e diversa sta ormai prevalendo su tutte le definizioni della natura giuridica del canone stesso (tassa, contributo parafiscale, eccetera) per configurarsi, nella sua giustificazione politica, in una definizione meramente socio-economica. Questo nuovo orientamento del dibattito potrà sembrare scandaloso ai giuristi fiscali e agli esperti finanziari, ma è frutto anch'esso dell'evoluzione di recenti orientamenti politici che accompagnano l'attuale rapida trasformazione tecnologica nei media (e del conseguente mutamento, ancora in fieri , della offerta e della domanda audiovisive), e che motivano l'utilità pubblica dei media stessi. È proprio questo il cuore del nostro ragionamento.

Il problema centrale oggi sembra non essere quindi più la disputa pubblico-privato sul sistema misto, bensì quella relativa all'offerta di contenuti distinti e mirati al servizio degli interessi pubblici nell'audiovisivo come “controvalore” del contenuto pecuniario del canone obbligatoriamente percepito. Non vi è dubbio che nella sua stragrande maggioranza l'attesa dei cittadini (anche se difficilmente percepibile nelle sue varie articolazioni e giustificazioni) si inserisce in una vera e propria tradizione consolidata nei paesi dell'Europa occidentale, dove l'audiovisivo è stato uno strumento di progresso culturale di grandissimo rilievo nel secondo dopoguerra, anche per ragioni di tradizioni culturali e linguistiche di alto e storico pregio, tali considerate dai cittadini dei vari paesi e sentiti come eredità non rinunciabile.

Si può sottolineare un'altra tendenza che sembra consolidarsi nel dibattito sull'Unione europea e sul suo ruolo come soggetto competitivo nell'economia dell'industria immateriale: considerare i broadcaster multimediali pubblici come uno dei fattori di equilibrio contro i pericoli di nuove turbative di mercato.

Un terzo elemento “rifondante” per i broadcaster multimediali pubblici in Europa è rappresentato dalla garanzia di un'offerta informativa, culturale e di intrattenimento per chi non vuole o non può accedere alle altre offerte radiotelevisive e multimediali, sia quelle finanziate dagli inserzionisti, sia quelle a pagamento.

In questo contesto i broadcaster multimediali pubblici europei, e, in particolare la Rai in Italia, devono al più presto individuare una vasta gamma di impegni che possano essere sin d'ora al centro di una vera e propria “mutazione genetica” delle aziende – se esse vogliono continuare ad esistere come imprese audiovisive pubbliche nel nuovo universo multicanale digitale – e, per la nostra Penisola, in quello televisivo terrestre.