Osservazioni sul Disegno di legge Gentiloni
e sulle proposte di Giancarlo Bosetti e Alessandro Ovi
contributo alla discussione di Bruno Somalvico
(Segretario Generale Associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi)
15 gennaio 2008
IL FUTURO ASSETTO DEL SERVIZIO PUBBLICO E IL SUO FINANZIAMENTO
Anche qui prima di esaminare le proposte di Gentiloni, occorre forse ricordare alcuni processi storici che hanno caratterizzato in Europa la riforma del servizio pubblico negli anni Sessanta e Settanta
La battaglia per uscire dal controllo diretto degli esecutivi
Fatta salva l’eccezione britannica di autentica autonomia del servizio pubblico sia dal governo e dai poteri pubblici sia dalle pressioni dei gruppi commerciali (che portano alla trasformazione della prima Company commerciale in Corporation Pubblica rinunciando al modello tutto privato statunitense) i soggetti pubblici continentali hanno conosciuto un difficile processo di autonomia dal potere degli esecutivi. Molto complessa sotto questo profilo risulterà anche la vicenda tedesca nel processo di affrancamento dal potere esercitato dalle Forze anglo-americane di occupazione nella Germania Federale del dopoguerra che impediscono la nascita di un servizio pubblico su scala nazionale sino agli anni Sessanta.
La Francia spezza solo nel 1974 il cordone ombelicale con il Ministero dell’Informazione dopo l’uscita di scena di De Gaulle con la chiusura dell’ORTF e la nascita di tre società pubbliche indipendenti e in forte concorrenza diretta tra di loro sugli ascolti almeno sino alla privatizzazione della prima nel 1986 e alla nascita di un sistema misto che spingerà ben più tardi alla fine degli anni Novanta a raccoglierle sotto un’unica Holding France Télévision. Con la nascita delle Authorities nel 1982 i presidenti saranno anch’essi nominati dai nuovi saggi a loro volta eletti a rotazione dalle alte cariche dello Stato francese.
La Spagna, pur spezzando con la fine del franchismo il legame diretto con l’esecutivo e con la casta militare, negli ultimi tre decenni non riesce ad affrancare completamente il servizio pubblico dall’esecutivo in quanto in assenza di canone esso dipende sempre di più dal ripiano dei debiti da parte di una filiale del ministero spagnolo delle finanze. In Germania si insediano nei Laender degli organismi compositi molto rappresentativi non solo dei partiti ma anche delle forze economiche sociali e religiose del Paese e in ogni caso la forte dimensione regionale al contrario della Francia gollista e dell’Italia democristiana, costituisce un antidoto allo strapotere di una singola area politica.
In Italia con la Legge di Riforma del 1975 si decide per il mantenimento dell’unitarietà del servizio pubblico all’interno di un’unica società ma in seno alla Rai si diversificano le reti e le testate, creando una diarchia fra esecutivo che continua a nominare il direttore generale democristiano e parlamento che acquista sovranità nell’attività di indirizzo e vigilanza nominando il consiglio di amministrazione dell’azienda a capo del quale si insedia un rappresentante laico del partito socialista. Ne deriva un quadro spartitorio non proprio esaltante nel medio termine quando l’assetto si rivela inefficiente nel far fronte alla concorrenza di un supergruppo televisivo commerciale, ma certamente incommensurabilmente meno “dittatoriale” del latifondo precedente.
Un esperimento che almeno nella sua prima fase con Andrea Barbato e Massimo Fichera, contribuisce ad allargare il pluralismo, apre a nuovi settori di sperimentazione e a nuove voci che non avevano diritto di espressione nelle gestioni precedenti, creando come in Francia una certa benefica concorrenza interna al monopolio soprattutto con le seconde reti meno ufficiali e più irriverenti nei confronti dei pubblici poteri. Si tratta certo di una stagione in Italia piuttosto breve che verrà normalizzata con la blindatura dei partiti nel controllo delle testate dopo l’ingresso nel 1986del partito comunista e la nazionalizzazione della terza rete nata a vocazione federale con forte progettualità su scala regionale.
Questa stagione finisce quando nasce la perfetta simmetria e inizia la dittatura dell’Auditel e il processo di omologazione fra rete pubbliche e emittenti commerciali. La Rai diventa uno strano ircocervo metà servizio e metà impresa, un’anatra zoppa che non può competere pienamente sul terreno commerciale né continuare ad esprimere le sue finalità di servizio pubblico perché esse cozzano con le logiche della competizione sugli ascolti. Vivrà praticamente due decenni senza ridefinire la propria fisionomia e governance.
Da questa situazione dovrà ripartire chi voglia autenticamente riformare il servizio pubblico a trent’anni dall’ultima legge di riforma.
Il nuovo governo sembra cosciente della necessità di rompere questo monstrum. L'ipotesi allo studio per una nuova configurazione della Rai si baserà secondo quanto annunciato da Gentiloni sulla separazione societaria tra attività finanziate dal canone e attività finanziate dalla pubblicità, “…confermando però l'unità aziendale. La Rai sarà concentrata su due reti generaliste di servizio pubblico finanziate dal canone e con poca pubblicità e programmi di elevata qualità e da una rete commerciale finanziata dalla pubblicità con programmi commerciali nella quale potrebbero entrare soggetti privati.
Come chiarisce lo stesso Gentiloni “L'ibrido tra le fonti di finanziamento della Rai, per metà rappresentate dal canone e per metà dalla pubblicità: un meccanismo che spinge all'omologazione con la Tv commerciale. Paletto essenziale, da questo punto di vista, è la separazione tra le attività finanziate dal canone e quelle sostenute dagli introiti pubblicitari”. Si prevede – chiarifica il Ministro nell’intervista rilasciata al supplemento economico del Corriere della Sera - un adeguamento del canone (oggi a meno di 100 euro a fronte dei 204 in Germania e Svezia e 180 in Gran Bretagna) pari al tasso di inflazione e un maggiore impegno contro l’evasione oltre a contributi ad hoc per garantire un ruolo di traino del servizio pubblico nell’agevolare la migrazione dall’analogico al digitale entro la nuova data prevista.
Per parte nostra abbiamo ricordato prima che, prima ancora dello switch off, sarà necessaria una riarticolazione dell’offerta di servizio pubblico non solo a favore di nuovi canali educativi e informativi di servizio pubblico, ma anche una più ricca e capillare presenza del servizio pubblico sul territorio riprendendo uno dei punti all’origine della Riforma di trent’anni or sono. Solo attraverso questo rafforzamento rivolto a tutti gli italiani e non solo alle famiglie digitali, riteniamo che sarà forse possibile procedere ad una progressiva riduzione della pubblicità e ad un incremento del canone e dei contributi pubblici che altrimenti rimarrà del tutto improponibile. Ci vuole insomma non solo in materia di raccolta pubblicitaria ma anche sul terreno dell’offerta una scossa importante che segni davvero un’inversione di tendenza a favore della qualità ma non a scapito degli ascolti e che sia effettivamente in grado di accompagnare tutte le famiglie verso l’universo digitale e il comparto multimediale sfruttando al massimo le tecnologie esistenti a cominciare dal Televideo e da tutti quegli strumenti che consentono già oggi all’utente di interagire con il medium televisivo.
1. Governance della nuova Rai
Secondo Gentiloni L'ultima, ma forse più grave anomalia del sistema italiano, è “il rapporto tra Tv pubblica e politica, che esiste ovunque ma in Italia è abnorme e non più sopportabile”. Tutti noi siamo d’accordo da anni sulla necessità di un allontanamento dei partiti dalla gestione dell’azienda per garantire la massima autonomia e indipendenza dal Governo e dalla politica. Per questa ragione è stata avanzata sin dai primi anni Novanta l’idea di una Fondazione o comunque di un organo in grado non solo di fungere da intercapedine fra l’indirizzo politico definito dal contratto di servizio e la gestione operativa, ma in qualche modo - aggiungeremmo - di diventare la voce degli abbonati e di verificare la congruità della gestione dell’azienda con gli obiettivi della nuova missione di servizio pubblico definiti nel contratto di servizio. Sotto questo profilo risulta particolarmente istruttivo quanto deciso dal Governo nel Regno Unito con l’insediamento a capo della BBC a partire dal 2007, in sostituzione del Board of Governors, di un BBC Trust ossia di un Consiglio dei Fiduciari investito di questi nuovi poteri di verifica e di controllo della gestione operativa del servizio pubblico d’Oltre Manica oggi alle prese con un lungo processo di decentramento delle proprie strutture.
2. Il dibattito sulle finalità e sui criteri di nomina della Fondazione
Innanzitutto vorremmo precisare la nostra proposta relativamente al ruolo di indirizzo che la politica attraverso il Parlamento dovrebbe ritrovare ed esplicitarsi nella discussione di documenti strategici simili al Green Paper all’origine della nuova Royal Charter della BBC in vigore per un decennio dal 1 gennaio prossimo. La funzione del nuovo Consiglio eviterebbe di sovrapporsi con quella del Direttore Generale e dei manager responsabili della gestione operativa dell’azienda, conferirebbe al Board una funzione di vigilanza e di riporto a scadenza semestrale dell’operato dell’azienda al Parlamento e all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, ovvero ad una nuova Commissione Parlamentare di Indirizzo che dovrebbe vigilare come l’AGCOM sull’intero comparto delle comunicazioni elettroniche a distanza e sul rispetto del pluralismo dei contenuti veicolati qualunque sia la natura dell’editore e della piattaforma attraverso i quali sono veicolati.
Naturalmente molto delicata diventa a questo punto la definizione dei criteri secondo cui andranno individuati i componenti della Fondazione a capo della nuova Rai, organo in grado di rappresentare il paese e la cittadinanza nella sua totalità e che dovrà essere dotato delle sopra citate funzioni di indirizzo e controllo oltre che della nomina dei vertici. Concordiamo con il documento di Giancarlo Bosetti e Alessandro Ovi quando scrivono “Poiché la funzione di servizio pubblico deve essere protetta da ingerenze non pertinenti (politiche, economiche e di altro genere), la soluzione proposta è una Fondazione creata ad hoc, con organi costituiti da persone selezionate con criteri mediante i quali ognuna di esse possa rappresentare il Paese nella sua complessità”. Ma divergiamo quando si entra nello specifico relativo alle modalità di nomina dei componenti della Fondazione.
Sotto questo profilo francamente non ci convincono le due soluzioni sin qui proposte , sia quella “alla spagnola” che ho sentito sostenere da Gentiloni che prevede la modalità di nomina parlamentare a maggioranza bipartisan (oltre i 2/3 del Parlamento) sia quella presentata dal gruppo di Ovi con organi costituiti da persone selezionate pubblicamente attraverso una Commissione terza nominata dall'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – che ricordiamolo nei criteri di nomina dei suoi Commissari e del suo Presidente rimane diretta espressione della politica e dei partiti.
La prima soluzione non ci piace perché lascia sostanzialmente le cose inalterate o nella peggiore ipotesi riprende i vizi di esperienze precedenti costringendo le forze politiche bipolari a defatiganti compromessi senza peraltro incentivare i destinatari il cui mandato proprio perché figlio di compromessi può apparire annacquato o comunque soggetto a troppi vincoli (si pensi al clamoroso rifiuto di Paolo Mieli di accedere alla Presidenza del Consiglio di Amministrazione della Rai nella scorsa legislatura su indicazione dei Presidenti di Camera e Senato).
La seconda soluzione non appare convincente in quanto restituisce alla politica (sia pure in maniera camuffata e mediata da una Commissione) un potere enorme assegnando ad un unico organismo l’AGCOM - nominato peraltro dal Parlamento secondo criteri partitocratici simili a quelli previsti dalla Gasparri per la nomina dell’attuale CdA Rai - un compito specifico di enorme e delicatissima portata. L’AGCOM – mediante la nomina dei componenti della Fondazione poi formalizzata dal Ministro delle Comunicazioni – dovrebbe in effetti sovrintendere alla vigilanza sull’operato del servizio pubblico, quando invece essa è chiamato istituzionalmente e regolare l’intero sistema delle comunicazioni e dovrebbe semmai misurare l’impatto di mercato dell’operato del servizio pubblico.
Va ricordato che il Governo britannico ha deciso di non seguire le raccomandazioni dell’OFCOM che aveva suggerito la creazione di una nuova figura , posta sotto la propria vigilanza, il Public Broadcasting Publisher[2] incaricato di distribuire prodotti britannici originali e di alta qualità attraverso reti a larga banda, reti televisive digitali terrestri e altre piattaforme per le comunicazioni mobili.
Il nuovo Consiglio dei Fiduciari della BBC è interessante come voce dei cittadini e come organo fiduciario di verifica dell’operato dell’azienda e della congruità dell’utilizzo dei fondi pubblici con le missioni definite dalla Royal Charter ma non può certo fungere da esempio per un Paese che non ha conosciuto una rivoluzione liberale come il Regno Unito dove l’esecutivo verrebbe del tutto screditato se non nominasse persone di assoluta indipendenza e provata fama.
Difficile dunque adottare una soluzione all’inglese in Italia. Il Parlamento sotto questo profilo in una democrazia più debole ed più giovane come quella italiana, rappresenta senza dubbio un ruolo di rappresentanza del volere di tutti gli elettori e cittadini e non solo di quelli che hanno votato per i partiti o a maggior ragione per le coalizioni di partiti che hanno assicurato l’insediamento di un determinato esecutivo. Semmai possiamo dire che il Parlamento non basta non è sufficientemente rappresentativo come dimostra l’esperienza della nomina dei membri dell’Autorità italiana per le Comunicazioni che riproducono in una sorta di mini-parlamentino interno i rapporti di forza esistenti in quello autentico. Il che impedisce di fare dell’Autorità il grande elettore del vertice della Rai, a differenza del caso francese dove i membri del Conseil Supérieur de l’Audiovisuel sono nominati a rotazione non creando necessariamente omogeneità con la maggioranza presidenziale o in caso di coabitazione con la maggioranza parlamentare esistente.
Il ruolo costituzionale di garante della coesione della comunità è assicurato dal monarca (che controfirma la carta reale ma anche le nomine del vertice della BBC da parte del Governo) o dal Presidente della Repubblica che dovrebbe poter in qualche modo esprimere una parte dei membri del vertice e chiedere loro relazioni come per il parlamento.
Alcune funzioni storicamente esercitate dal CNEL potrebbero servire da spunto per adattare al quadro italiano parte dei principi utilizzati per la nomina degli organismi di vigilanza dei Laender in Germania. Un federalismo spinto dovrebbe favorire la nascita di veri e propri Assessorati regionali alle comunicazioni, la nascita di commissioni consiliari di vigilanza sulle comunicazioni regionali e la trasformazione dei Corecom in Autorità Regionali.
Sul piano nazionale la Commissione Parlamentare di vigilanza dovrebbe applicarsi all’intero sistema delle comunicazioni e le due Authorities Antitrust e Agcom esercitare la tutela della concorrenza e la regolazione del sistema delle comunicazioni. Il ruolo dell’organismo a capo della Rai (Fondazione Consiglio di Fiduciari, Voce degli abbonati al canone), qualunque sia il suo criterio di nomina, dovrebbe in ogni caso essere distinto anche sotto il profilo logistico da quello della Direzione Generale di cui diverrebbe in qualche modo una controparte, verificandone periodicamente l’operato e la congruità con la mission definita nel programma. In ogni caso va spezzata la diarchia e schizofrenia attuale.
Fatte queste osservazioni, possiamo dire che il contributo di Giancarlo Bosetti e di Alessandro Ovi contenga alcune osservazioni pienamente condivisibili. Penso all’idea “che la durata degli organi societari della Fondazione sia al massimo di cinque anni e comunque a “scavalco” di ogni legislatura”. Riteniamo altresì importante il contributo dato sugli indirizzi che dovranno essere emessi dalla Fondazione[3] e sul fatto che una volta verificata l’aderenza alla funzione di servizio pubblico[4], essa dovrà essere messa successivamente a confronto con l’impatto che si genera sul mercato[5] e che su quest’ultimo terreno risulta invece importante il ruolo dell’Autorità.
3. Il nuovo ruolo di indirizzo della politica
Come chiarisce il documento “La Fondazione è responsabile della verifica di aderenza alla funzione di servizio pubblico, mentre l’analisi di impatto sul mercato potrebbe essere condotta dall’AGCOM. Per quanto ci riguarda in ogni caso riteniamo che Governo e Parlamento attraverso la redazione e approvazione di un Documento di legislatura che fissi i confini del contratto di servizio e quindi dell’impegno del servizio pubblico nell’assolvimento di determinate missioni come contropartita del canone universalmente percepito.
Il Governo e il Parlamento devono fare certo un passo indietro rinunciando definitivamente ad interferire nella gestione interna del servizio pubblico, ma essi devono contemporaneamente riuscire a fare un passo in avanti attraverso una nuova Riforma in grado di conferire un indirizzo strategico alla Rai adeguato alle nuove sfide tecnologiche e in grado di fare i conti con una società italiana in grande trasformazione e soprattutto di ripensare la propria funzione di coesione sociale nella società dell’informazione.
4. Criteri possibili per la nomina del Comitato dei Garanti
Per parte nostra scarteremmo le due ipotesi suggerite da Gentiloni e dal documento di Bosetti e Ovi, dovendo per altro giudicare naturalmente improponibile in Italia una soluzione all’inglese di nomina da parte del Governo del Consiglio dei Fiduciari o della Fondazione a capo della Rai come avviene nel Regno Unito, modalità che nel contesto italiano ci porterebbe indietro di un trentennio sottraendo al Parlamento il controllo sull’azienda per restituirlo all’esecutivo.
Per questa ragione proponiamo una soluzione più simile a quella adottata in Germania che veda associati al destino del servizio pubblico non solo il mondo politico, ma anche quello delle imprese e dei sindacati, delle confessioni religiosi e della ricerca scientifica che unitamente a personalità indicate dal Presidente della Repubblica, dal Parlamento e dalle Regioni, dovrà individuare il Comitato di garanti a capo della Fondazione composto da pochi soggetti portatori di rilevanti valori sociali e culturali. Il Comitato di garanti della Fondazione nominerà al suo interno un Presidente e un Segretario generale.
I principi a cui la Fondazione del servizio pubblico radiotelevisivo dovrà ispirarsi saranno definiti in una "Magna Charta", un documento parlamentare di valenza costituzionale da approvare con maggioranza qualificata, che avrebbe come oltre Manica una scadenza decennale e sovrintenderebbe al contratto di servizio.
La Fondazione risponderà al Parlamento della coerente realizzazione dei principi contenuti nella Magna Charta. Alla Fondazione farà capo una holding, a cui spetterà la gestione del servizio pubblico radiotelevisivo e sarà retta da un Consiglio di amministrazione nominato dal Comitato di garanti della Fondazione stessa. Il canone sarà intestato alla Fondazione. La holding può agire come unica società o articolarsi in sub-holding.
Nella ipotesi ora descritta si conseguirebbe l'obiettivo di separare nettamente l'indirizzo strategico, che rimarrebbe al Parlamento attraverso l’approvazione della Magna Charta e della cui attuazione sarebbe garante la Fondazione, dalla gestione, cioè dalla holding che del suo operato risponde alla Fondazione stessa. La Fondazione individua attraverso un contratto di servizio gli obblighi specifici di servizio pubblico che devono essere assolti dalla holding ed in relazione ai quali le conferisce il canone, verificando periodicamente che l'attività della holding sia rispondente agli obiettivi fissati nel contratto di servizio.
(Bruno Somalvico)
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