Seminario di Infocivica
ROMA - mercoledì 11 gennaio 2012
Consiglio Italiano Movimento Europeo
Piazza della Libertà 13 - quarto piano
ore 14.30-18.30
Quale ruolo della Rai nella fase due del Governo Monti ?
Antonio Sassano
Le interessanti questioni poste da Michele Mezza e Bruno Somalvico solleciterebbero una risposta complessiva, ampia e articolata. Resisterò a questa tentazione per concentrarmi su un solo tema: il rapporto tra la RAI e le realtà locali (principalmente le regioni e l’emittenza locale) come punto di partenza per un nuovo ruolo del Servizio Pubblico.
Credo si tratti di un tema di grandissimo interesse. Ho però, rispetto a Michele e Bruno, qualche preoccupazione in più sulla sua pratica realizzabilità. Per spiegare meglio le motivazioni delle mie perplessità vorrei mettere il tema in una prospettiva storica.
Credo che la RAI e, di conseguenza, il sistema radiotelevisivo italiano abbiamo perso una grande occasione negli anni iniziali della transizione analogico-digitale (2004-2006). La RAI, allora, aveva un parco frequenze estesissimo (circa 7000 impianti/frequenza) e circa la metà di quegli impianti/frequenze (i principali) erano regolarmente registrati nel Master Register di Ginevra. Insomma le frequenze migliori e le frequenze coordinate a livello internazionale erano della RAI.
In quello scenario, una separazione verticale della RAI (ovvero RAI-Way, la società della rete, separata dalla produzione dei contenuti) avrebbe generato un “operatore di rete” specializzato nel “broadcasting” televisivo di dimensioni ragguardevoli e che avrebbe certamente avuto un ruolo decisivo nel processo di “switch-over” che si profilava all’orizzonte. L’emittenza locale avrebbe avuto un unico interlocutore tecnico. Un “operatore di rete” con altissime competenze tecniche, con grande esperienza di coordinamento internazionale, specializzato nel “broadcasting” regionale grazie all’esperienza di RAI3 e, dunque, in grado di fornire a tutte le televisioni locali copertura e capacità trasmissiva di alto livello qualitativo per la diffusione dei contenuti regionali.
Ovviamente anche le Regioni avrebbero avuto un interlocutore privilegiato nel “Servizio Pubblico di Trasporto” (lo definii così nel Dicembre 2004). La Regione avrebbe potuto pianificare i suoi siti di trasmissione tenendo conto delle esigenze di copertura di tutti i cittadini ma anche della minimizzazione dell’inquinamento elettromagnetico. Avrebbe potuto anche utilizzare la ”rete di servizio pubblico” per collegare i siti televisivi con sistemi di trasporto avanzati (ponti radio e “fibra”) regionali e predisporre siti di trasmissione “multi-operatore” per portare la banda larga nelle zone in “digital divide”.
In quella fase, le emittenti locali (almeno quelle interessate a trasmettere contenuti locali) avrebbero avuto tutto l’interesse a delegare al “servizio pubblico di trasporto” la diffusione (su frequenze e da siti di alta qualità) dei propri programmi.
La separazione verticale avrebbe avuto anche l’effetto positivo di focalizzare l’attività del resto della RAI (senza RAIWay) sulla produzione di contenuti, con tutti gli effetti positivi (valorizzazione dei contenuti locali e stimolo e interlocuzione privilegiata con i piccoli e medi produttori di contenuti nazionali) auspicati da Michele Mezza e Bruno Somalvico.
Non si tratta, per altro, di uno scenario impossibile. E’ una situazione molto simile a quella della RAS nella provincia di Bolzano e dell’operatore di rete nella Provincia di Trento. Si tratta, nel caso della RAS, di un “broadcaster” ancora verticalmente integrato ma con un’attività di produzione di contenuti assolutamente poco rilevante.
Ora (2011) realizzare tutto questo è diventato molto più difficile.
Le emittenti locali hanno scambiato la partecipazione al processo di digitalizzazione del Paese con il riconoscimento del ruolo di “operatori di rete locali”. In altre parole, le emittenti locali, allo scopo di conservare il loro “asset” principale, le frequenze, si sono trasformate in tante piccole (e piccolissime) RAIWay. Al contrario, RAIWay è rimasta saldamente integrata alla RAI. Unica emittente nazionale a trasmettere a livello regionale.
Dunque, le scelte effettuate durante il processo di “switch-over” analogico-digitale hanno messo in competizione diretta la RAI con tutte le emittenti locali.
Ma non basta. Il Piano Digitale dell’AGCOM aveva previsto che all’emittenza locale non fossero assegnate tutte le frequenze (ovviamente quelle non assegnate alle emittenti nazionali). Il motivo era quello di evitare che, ad esempio, un’emittente locale della Lombardia disturbasse un’emittente locale del Veneto sulla stessa frequenza.
E dunque, il Piano AGCOM prevedeva un massimo di 15 emittenti locali in Lombardia (su 27), 13 in Veneto, 13 in Emilia-Romagna e così via. Le emittenti locali, appoggiate dalle amministrazioni regionali di tutti i colori, hanno preteso, contro le leggi della fisica, che tutte le 27 frequenze disponibili in ciascuna regione fossero loro assegnate. Il Ministero le ha (ovviamente) accontentate assegnando ovunque 27 frequenze e generando di nuovo un inferno interferenziale.
A danno di chi? Non a danno di Mediaset, che ha avuto 5 frequenze su tutto il territorio nazionale, diverse da quelle delle locali e che dunque non subisce nessuna interferenza. Certamente a danno delle altre emittenti locali ma anche della RAI, unica emittente nazionale che aveva necessità di decomporsi a livello regionale. Non è quindi un caso che il servizio della RAI in molte regioni sia soggetto a forti interferenze e qualcuno proponga lo “sciopero del canone”.
In conclusione, in modo sintetico: in questo momento la RAI si ritrova nell’inferno interferenziale creato dalle richieste delle emittenti locali (appoggiate da tutte le amministrazioni regionali). Il “multiplex” di Servizio Pubblico della Rai (quello che contiene RAI1, RAI2 e RAI3, per capirci) è, nella situazione attuale, interferisce con decine di emittenti locali (disturba ed è disturbato) in tutte le regioni digitalizzate.
Inoltre, la RAI non ha più le migliaia di impianti/frequenza (prevalentemente coordinati con i paesi vicini) che aveva all’inizio dello “switch-over”, mentre le emittenti locali gestiscono un enorme parco frequenze di qualità potenzialmente superiore a quelle possedute nel 2004: 27 frequenze per regione.
Come si vede lo scenario è profondamente mutato. L’idea del ”servizio pubblico di trasporto”, basato su RAIWay e sulle sue risorse non ha più la forza che aveva nel 2004-2005. Al contrario le emittenti locali (“operatori di rete”), con l’incondizionato appoggio dalle Amministrazioni Regionali, hanno iniziato a chiedere di accedere al canone e di poter concorrere al ruolo di Concessionari del Servizio Pubblico Regionale.
Dunque le Regioni e le emittenti locali (inevitabilmente alleate per ovvi motivi politici) sono divenute una delle maggiori insidie al futuro della RAI come la conosciamo oggi.
Che fare? L’occasione di realizzare un “Servizio Pubblico di Trasporto” e un “Servizio Pubblico di Produzione di Contenuti” credo sia definitivamente sfumata.
Credo tuttavia che la rapida trasformazione delle regole che governano la gestione dello spettro ci costringeranno presto a fronteggiare uno scenario con molti punti di contatto con quello del 2004-2006. I recenti emendamenti al Codice delle Comunicazioni Elettroniche (che recepiscono la Direttiva 140/CE del 2009) prevedono infatti uno scenario di gestione dello spettro flessibile rispetto a tecnologia e al servizio. Ovvero, non esistono più “frequenze televisive” o “frequenze per la banda larga mobile”. Tutte le frequenze possono essere utilizzate per tutti i servizi, con il solo vincolo di non-interferenza (l’unico che noi non rispettiamo).
In questo scenario la separazione verticale è una scelta obbligata.
L’operatore verticalmente integrato (rete + servizi) perde di significato nel nuovo scenario di uso flessibile dello spettro. L’integrazione verticale RAI - RAIWay (ad esempio) ha solo l’effetto di irrigidire la relazione tra tecnologie e servizi televisivi e di favorire la tendenza ad un uso della banda UHF per il servizio televisivo anche quando le frequenze in quella banda sarebbero molto meglio utilizzabili per i servizi wireless banda larga (che difficilmente interesseranno la RAI). Un dinosauro nell’era dei mammiferi.
Al contrario, l’”operatore di rete” è l’organismo adattato al nuovo ambiente di uso flessibile dello spettro e che in questo ambiente di regole favorevole può disinteressarsi del particolare servizio veicolato dalle sue reti (TV, Radio, banda larga, etc.) e concentrarsi sull’incremento dell’efficienza delle sue infrastrutture.
Dunque, non più un “Servizio Pubblico di Trasporto” ma una RAIWay separata da RAI che diviene un “operatore di rete”, magari ancora con maggioranza pubblica. Ovviamente, la trasformazione di RAIWay sarebbe più facilmente realizzabile (in quanto decisione pubblica) di quella di Elettronica Industriale - DMT (che si sono appena integrate). Inoltre, dovrebbe trattarsi di una trasformazione strategica e non di una semplice “svendita” di torri o siti trasmissivi.
Dovremmo poi convincere le emittenti locali che l’ingente patrimonio di frequenze ora a loro disposizione sarebbe meglio gestito da un “operatore di rete” indipendente (ad esempio RAIWay separato dalla RAI o un equivalente operatore indipendente) e di dimensioni adeguate (almeno regionale come dimostra il successo di Trento e Bolzano). Un “operatore di rete” che potrebbe produrre capacità trasmissiva televisiva ma anche utilizzare lo spettro per la banda larga mobile in modo flessibile e ottimizzato. Le emittenti locali avrebbero in cambio un accesso a prezzo “politico” alla capacità trasmissiva su frequenze di qualità e coordinate a livello internazionale.
Il passaggio delle emittenti locali da “operatori di rete” a “fornitori di contenuti” dovrebbe ovviamente essere realizzato in modo volontario e tale da remunerare gli investimenti effettuati delle emittenti locali, con meccanismi di asta a due versanti (con incassi per lo Stato e, in parte, per le emittenti locali) simili a quelli ai quali sta pensando la FCC negli Stati Uniti. Tutto questo, come dimostrano le ultime notizie dagli Stati Uniti, non è affatto facile.
In questo nuovo quadro, forse, potrebbe essere validamente ripreso un ragionamento sul rapporto tra la RAI produttrice di contenuti e le realtà regionali.
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