Giuseppe Richeri
Docente di "Strategie dei Media" e Decano Facoltà di Scienze della Comunicazione - Istituto Media e Giornalismo, Università della Svizzera Italiana, Lugano
QUALE TV PUBBLICA PER QUALE SOCIETA' ?
Appare difficile affrontare direttamente l’idea di servizio pubblico a dimensione europea quando il concetto stesso di servizio pubblico televisivo è da tempo in crisi ed è ovunque oggetto di ripensamento. Un ripensamento che nel mio paese a suscitato molto dibattito ma ha fatto poca strada dal momento che non c’è stato il coraggio di spostare radicalmente i punti di riferimento necessari a ricostruire la legittimità del servizio televisivo pubblico, la sua identità e la sua funzione d’interesse generale.
Questo ripensamento è stato finora centrato prevalentemente su quattro aspetti: il rapporto con il potere politico, la concorrenza col settore privato, le nuove tecnologie, le risorse economiche. Senza considerare prima di tutto che l’idea ancor oggi prevalente di servizio televisivo e del suo ruolo è da tempo superata perché è nata e si è consolidata in un contesto sociale radicalmente diverso dall’attuale. Quando si riteneva che la grande maggioranza delle persone avesse “bisogni informativi , formativi e d’intrattenimento” socialmente rilevanti e insoddisfatti. Quando si pensava che la radio e poi la televisione pubbliche fossero strumenti adatti a soddisfare tali bisogni nel modo più capillare, rapido ed economico. Quando c’era largo consenso sulla necessità che lo Stato intervenisse anche fuori dal sistema scolastico con strumenti “pedagogici” per la promozione culturale dei cittadini. Quando la televisione era considerata un potente mezzo di unificazione, di integrazione, modernizzazione del Paese….e quando la televisione era monopolio dello Stato.
La società di oggi é profondamente diversa da quella d’allora così come sono diverse le risorse economiche a disposizione degli individui e delle famiglie, i loro consumi materiali e immateriali, i loro bisogni e desideri. Da qui occorre partire per ripensare il servizio pubblico radiotelevisivo, le sue funzioni e i suoi interlocutori sociali. Non dalle nuove tecnologie, ne dalla concorrenza con i privati o dai rapporti con il potere politico e ancor meno dalle inefficienze e gli sprechi degli enti televisivi pubblici. Tutti problemi che vengono dopo.
C’è ancora una maggioranza del paese che ha bisogni “informativi, formativi e d’intrattenimento” che non è in grado di soddisfare con le proprie risorse economiche e i propri mezzi intellettuali? Quali sono le componenti della “nuova” società che oggi hanno bisogno della tv pubblica? Fino a che punto è opportuno che lo Stato si occupi direttamente di allestire contenuti mediali? La televisione è ancora in grado di offrire elementi d’identità condivisa, di unificazione culturale, di partecipazione politica e promozione culturale?
Credo che questi siano alcuni dei quesiti su cui si dovrebbe riflettere approfonditamente per ripensare con coraggio alla legittimità, non formale ma sostanziale, e alla funzione della televisione pubblica oggi.
Televisione e Unione Europea
Occorre avere il coraggio di fare un bilancio delle iniziative europee nel campo televisivo mettendo a confronto gli obiettivi, le risorse investite e i risultati raggiunti. Se non si può parlare di un totale fallimento, credo si possa però affermare che i fallimenti sono stati molti e i risultati positivi rilevanti pochi rispetto alle attese.
In particolare in Italia sarebbe difficile sostenere che le iniziative televisive europee abbiano contribuito ad aumentare sensibilmente la conoscenza e il sentimento di appartenenza europea degli telespettatori italiani. Il caso di Euronews è emblematico.
Si, è vero, Euronews è meglio di niente, ma il suo impatto sul grande pubblico televisivo, quello a cui è più importante offrire un’apertura europea, risulta del tutto marginale.
Credo che trovare iniziative pertinenti ed efficaci per rafforzare l’adesione al “progetto europeo” (ma quale?) dei cittadini in tutti i paesi membri, tanto i vecchi quanto i nuovi, sia un impegno non solo importante, ma sempre piu’ necessario. Non credo pero’ che un servizio televisivo pubblico a dimensione europea sia la strada da percorrere. Non tanto per la quantità di esperienze “europee” infruttuose accumulate negli ultimi decenni e neppure per le difficoltà legate al pacchetto economico, alle piattaforme tecniche, al governo e all’organizzazione dell’impresa, ai format e palinsesti, ecc. Tutti aspetti di primo piano e di evidente difficoltà. La mia critica è invece a monte di questi aspetti e cerco di riassumerla in questo modo. I rapporti tra i cittadini europei e l’Europa (istituzioni, politiche, iniziative, problemi, ecc.) variano, da paese a paese (mi fermo a questo livello) e sono fortemente condizionati da aspetti storici, economici e socio-culturali tipicamente nazionali. La costruzione europea è una proposta per risolvere i problemi di questi cittadini e migliorare le loro condizioni di vita. Per permettere loro di metabolizzare positivamente i vari passaggi di questa costruzione sentendosi sempre di più partecipi credo sia necessario non partire dall’Europa, ma partire dalla loro dimensione nazionale per aiutarli a capire e apprezzare la funzione dell’Europa caso per caso. La politica saccarifera dell’Europa ha un impatto del tutto diverso in Germania, in Italia o in Ungheria. Le strategie europee nel campo delle grandi infrastrutture di trasporto coinvolgono in modo diverso gli spazi, i territori, i paesi e i cittadini dell’Europa, ecc.
Per il grande pubblico solo i mezzi di comunicazione nazionali e locali sono in grado di svolgere questa indispensabile funzione di mediazione tra “informazione europea” e contesti nazionali e locali. In altri termini le news europee senza un lavoro di “localizzazione” sono difficilmente comprensibili, interpretabili, apprezzabili. Perché i contesti di riferimento dei cittadini europei sono quelli nazionali e locali ed è all’interno di questi contesti che le news europee possono assumere rilievo nell’agenda informativa.
Un’agenzia televisiva europea
Allora non c’è nulla da fare? Credo che l’obiettivo principale da porsi è quello di fare entrare maggiormente l’Europa nella programmazione televisiva nazionale e tra i contenuti offerti ormai da una molteplicità di piattaforme tecniche e di forme di accesso. Basta osservare i principali programmi d’informazione delle televisioni pubbliche e private per rendersi conto di quanto l’attività delle istituzioni europee, i tempi di rilevanza generale e quelli che riguardano le interdipendenza tra i suoi partner siano poco presenti nell’agenda informativa accessibile al grande pubblico.
Per favorire questa prospettiva tra le iniziative utili potrebbe esserci la creazione di un’agenzia “europea” in grado di sviluppare un’azione sistematica e coordinata su vari piani e in varie direzioni tra cui:
• funzione produttiva: allestire materiali semilavorati sui temi presenti nell’agenda delle istituzioni europee da offrire alle varie redazioni di diversi supporti che possano poi “localizzarli” e inserirle tra i contenuti da loro offerti (palinsesti, contenitori, ecc.)
• funzione promozionale: negoziare con singole redazioni iniziative di cooperazione su temi europei specifici, o su temi nazionali e locali di interesse o rilevanza europea
• funzione di commutazione: ricevere proposte e sollecitazioni da singole redazioni intorno a cui coinvolgere altri partner europei
• funzione di intermediazione tra le singole redazioni e le varie strutture delle istituzioni europee.
• funzione intermodale: progettare e favorire la diffusione su varie piattaforme e media dei contenuti di origine propria e di quelli realizzati dai vari partner .
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