Pierre Musso
Professore ordinario di Scienze della Comunicazione presso l'Università di Rennes II
1. L’evoluzione paragonabile fra i servizi pubblici televisivi in Francia e in Italia.
Le televisioni francesi e quelle italiane hanno avuto un cammino piuttosto simile dal Secondo Dopoguerra sino alla metà degli anni Settanta. I due Paesi hanno inizialmente costituito un legame indissociabile fra televisione e politica mediante l’istituzione di un monopolio monolitico incaricato della gestione del servizio pubblico audiovisivo. L’informazione fu dunque collocata sotto la tutela del potere politico. Dopo il 68, i due paesi hanno avviato la deregolamentazione del sistema in nome dell’indipendenza o dell’«autonomia» dei media, sotto la spinta di una critica liberal - libertaria dello statalismo identificato con il monopolio. L’Italia, pioniera della deregulation del proprio sistema audiovisivo, funse allora da laboratorio.
Sino alla fine degli anni Sessanta, il monopolio fu considerato come il garante del pluralismo, in quanto lo si riteneva idoneo per respingere la doppia minaccia della propaganda e della sottomissione a quelle che Lèon Blum chiamava le «forces de l’argent», ovvero le forze del denaro. Alla fine degli anni Sessanta, i critici del monopolio pubblico trovarono un punto di convergenza ponendo la seguente equazione: « monopolio pubblico = monopolio politico» (governativo). Una nuova fase si aprirà poi all’inizio degli anni Novanta. Tale fase è caratterizzata dai processi di concentrazione nel settore dell’emittenza privata e dall’indebolimento, viceversa, della televisione pubblica.
A differenza dei paesi anglosassoni, la televisione non ha mai smesso di essere riorganizzata in Italia come in Francia, a partire dal secondo dopoguerra, secondo tre concezioni politiche del pluralismo che si sono succedute.
- In primo luogo, il modello iniziale, quello che ho appena chiamato monopolio monolitico, confondeva servizio pubblico e monopolio.
- Poi, con l’avvio del processo di deregulation e della concorrenza, l’emergere della neo-televisione commerciale viene associata alla moltiplicazione del numero dei canali, finanziati prevalentemente dalla pubblicità.
- Infine, lo sviluppo delle emittenti televisive a pagamento – con il ruolo propulsore svolto da Canal Plus al di qua come al di là delle Alpi e il consolidamento di alcuni «gruppi campioni» privati. In Francia, sono cinque i gruppi che la fanno da padroni nel mercato della comunicazione: Bouygues, Lagardère, Vivendi, RTL-Group e Bolloré. In Italia, la situazione è più semplice in quanto il gruppo Fininvest controlla il mercato dell’emittenza commerciale.
Seguendo le stesse modalità, dal Dopoguerra, la televisione ha conosciuto al di qua come al di là delle Alpi, tre meccanismi successivi di finanziamento: quello pubblico derivante inizialmente dal canone, nel corso degli anni Sessanta è diventato un finanziamento misto - canone e pubblicità - , prima ancora della moltiplicazione delle emittenti commerciali alla fine degli anni Ottanta, e al consolidamento di nuove offerte televisive direttamente finanziate dal telespettatore-cliente. Il canone, prima fonte di finanziamento sino al 1980, è oggi quella più debole. La pubblicità è esplosa nel corso degli anni Ottanta con la nascita delle emittenti commerciali, ma ormai risulta stagnante in valori relativi. Infine, il pagamento diretto da parte del consumatore è ormai diventato la principale fonte di finanziamento della televisione.
In questo contesto si è ridotto drasticamente il settore dell’emittenza pubblica. Il servizio pubblico non è mai veramente riuscito a «liberarsi» dalla propria tradizionale tutela politica sull’informazione. L’acquisizione di logiche manageriali d’impresa per far fronte alla crescita della concorrenza con le emittenti commerciali nazionali, ha sollevato un interrogativo di fondo sulla «qualità », l’identità, e perfino nel caso di taluni, sulla legittimità stessa di un servizio pubblico audiovisivo.
Se per un verso la Legge adottata il 1 agosto 2000 dal Governo socialista presieduto da Jospin, ha fornito indubbiamente una definizione interessante delle missioni del servizio pubblico, sul piano pratico la sua portata è stata alquanto modesta (* - 1 ).
Se da un lato la Francia e l’Italia sin dall’origine hanno stabilito un rapporto specifico fra il potere politico e la televisione – un legame di cui non si trova pari rilievo negli altri Paesi europei - dall’altro la deregulation di questo sistema ha esercitato un influsso molto più profondo, contemporaneamente economico, culturale e politico. Questa eccezione franco-italiana ha comportato due «anomalie»: da un lato, questa inversione di tendenza ha permesso la costituzione di un impero mediatico, con il gruppo Fininvest di Berlusconi che controlla l’emittenza commerciale, dall’altro, ha consentito la prima privatizzazione di una grande televisione pubblica, TF1.
In un caso come nell’altro troviamo lo stesso modello all’origine, lo stesso sconvolgimento dovuto alla deregulation e gli stessi risultati eccezionali conquistati dai nuovi gruppi privati.
2. La riforma francese del 5 marzo 2009 relativa « al nuovo servizio pubblico della televisione », avviata dal Presidente Sarkozy
Questa ennesima riforma persegue un triplice obiettivo: economico, politico e culturale.
In primo luogo intende sostenere quelli che in Francia chiamiamo «les groupes champions», ovvero i gruppi «campioni» privati, come dichiarato dal Presidente Sarkozy: « Il mio auspicio è che i gruppi privati audiovisivi siano puissants, ossia molto forti».
In secondo luogo, la nomina e la revoca previo semplice parere, del Presidente di France Télévisions da parte dello stesso Presidente della Repubblica, segna il ritorno in mano statale della televisione pubblica.
Infine, con la soppressione della pubblicità per tutto il settore pubblico, l’obiettivo è «disconnettere» la televisione pubblica dal mercato e dalla rincorsa dell’audience, in nome della « qualità » e della «cultura».
Questa riforma spinge così la Francia a contrapporre due tipi di televisione. Da un lato, dovrebbe esistere una televisione pubblica pedagogica e culturale, di cui lo Stato definirebbe in parte la programmazione nominandone il Presidente, in parole povere una nuova «televisione di Stato», e dall’altro, una televisione commerciale, alleggerita di numerosi obblighi: da un lato una « tele-scuola » rivolta ad un telespettatore-alunno, e dall’altro, un «tele-carrello della spesa», destinato ad un telespettatore-consumatore.
La progressiva soppressione della pubblicità sui canali di France Télévisions in assenza di introiti certi e reiterati nel tempo, rischia di sfociare in un indebolimento del servizio pubblico, sino a ridurne il proprio perimetro se non addirittura a provocarne una sorta di “auto-amputazione”.
Questa Legge rende fragile e precaria l’economia di una televisione pubblica strutturalmente sotto finanziata, l’ammontare del canone essendo fra i più bassi d’Europa (con 116 euro, a fronte di una media europea di 161 euro). Per compensare la perdita degli introiti pubblicitari si è calcolato che avremmo dovuto incrementare il canone di ben 45 euro! Sono rari gli esempi di televisioni pubbliche prive di pubblicità, e i questi casi, l’ammontare del canone appare molto più elevato come come in Danimarca o per la BBC che dispone di un bilancio annuo pari a circa cinque miliardi di euro.
L’equazione economica relativa alla compensazione finanziaria per i mancati introiti pubblicitari risulta complessa e priva di sufficienti garanzie.
La prima risorsa compensatoria è una tassa dello 0,9% sui servizi forniti dagli operatori nelle comunicazioni elettroniche (fornitori di accesso a Internet e operatori di telecomunicazioni).
La seconda risorsa di compensazione è una tassa del 3% sugli introiti pubblicitari supplementari delle emittenti private.
Infine, l’adozione di un’indicizzazione del canone consentirà di portarlo a 120 euro nel 2010.
Con una tale equazione finanziaria sembra dunque piuttosto difficile migliorare la qualità dei programmi ed assicurare contemporaneamente adeguati investimenti nelle nuove tecnologie e nella “creazione” audiovisiva. Per di più, la Commissione Europea ha annunciato l’apertura di un’indagine su questa modalità di finanziamento, il che rischia di addensare un’ulteriore minaccia su questa misura di compensazione.
3. Le posizioni europee in materie di servizio pubblico dell’audiovisivo e i loro limiti.
La mancanza di un’identità culturale comune, la diversità linguistica e l’assenza della comunicazione audiovisiva nei Trattati di Roma e nell’Atto Unico Europeo del 1986 hanno concorso a indebolire i servizi pubblici. Senza dubbio il Trattato di Maastricht ha introdotto la possibilità di un intervento comunitario nell’audiovisivo ma l’Europa - conferendo priorità al principio della «concorrenza libera e priva di distorsione » ha favorito le politiche di deregulation, tendendo a emarginare i servizi pubblici, considerandoli come eccezioni al principio della concorrenza.
La stessa definizione dei servizi pubblici varia a seconda dei paesi. Quanto alla politica audiovisiva dell’Unione Europea, essa non dà quasi nessuno spazio ai servizi pubblici, ridotti alla stregua di «Servizi d’Interesse Economico Generale » (SIEG) sottoposti senza alcuna eccezione al diritto della concorrenza. Ciò ha favorito una sorta di « laisser-faire » deregolatore. Il diritto comunitario non fa distinzioni fra televisioni private e televisioni pubbliche, considerando la pubblicità come lo strumento usuale per il loro finanziamento. Da qui il sacro principio dell’interdizione degli « aiuti di Stato ». Su questa base la contestazione principale della Commissione europea verte sul doppio finanziamento dei servizi pubblici attraverso la pubblicità e il finanziamento pubblico, il che spiega anche le riforme francesi e spagnole adottate nel 2009.
Il Protocollo annesso al Trattato di Amsterdam del 1997 ha rafforzato questo approccio in senso strettamente economico sottolineando che « « la radiodiffusione di servizio pubblico negli Stati membri è direttamente collegata ai bisogni democratici, sociali e culturali di ogni Paese e alla necessità di preservare il pluralismo dei media». Ciò ha permesso di autorizzare il ricorso al finanziamento pubblico in due casi specifici : in presenza di missioni di servizio pubblico e in caso di non contravvenzione alle regole di concorrenza. La direttiva SMA (« Servizi sui Media Audiovisivi ») del dicembre 2007 che ha sostituito la direttiva « TSF » del 1989 favorisce la crescita degli spazi pubblicitari e l’interruzione pubblicitaria dei programmi.
Detto questo, la prevalenza del diritto della concorrenza è stata costantemente riaffermata in particolare nelle comunicazioni della Commissione del 2001 sulla radiodiffusione pubblica e del 2009 « sull’applicazione ai servizi pubblici di radiodiffusione delle regole relative agli aiuti di Stato ». Il Trattato di Lisbona su questo punto chiave non influisce sull’orientamento del diritto comunitario. Un vero proprio deficit delle politiche europee rimane in materia di politiche audiovisive e a ciò si accompagna un controllo severo della commissione sui loro finanziamenti. A partire dal 2006 le emittenti televisive pubbliche olandese, danese, austriaca, fiamminga e irlandese sono state invitate a chiarire la loro modalità di finanziamento. Il rischio maggiore per le emittenti pubbliche è il loro soffocamento finanziario e in fin dei conti la loro possibile emarginazione seguendo il modello nord-americano del Public Broadcasting Service (PBS).
In questo contesto, la creazione di un’emittente pubblica europea sembra apparire piuttosto illusoria in particolare in quanto il gusto degli spettatori nazionali/regionali in Europa è contrassegnato da una diversità linguistica e culturale molto profonda. Occorre anche rilevare i fallimenti precedenti, fatta eccezione per ARTE, rete franco-tedesca e non europea, e per Euronews che funge peraltro più come agenzia che come vera e propria emittente. Infine l’allargamento all’ « Europa dei 27 », vedi « dei 29 » moltiplica sempre di più le difficoltà. Certo i gruppi privati nell’audiovisivo subiscono processi di concentrazione e d’integrazione verticale lungo tutta la filiera multimediale, ma di fronte a tali concentrazioni la ricerca di fusione fra reti pubbliche sembra una strada senza speranze.
Tre proposte principali potrebbero essere suggerite
1. L’Europa potrebbe promuovere la propria azione meno sotto il lato dell’edizione e della programmazione che da quello della produzione e della creazione sostenendo una politica industriale che favorisca l’emergere di un polo misto pubblico-privato delle industrie audiovisive per controbilanciare l’egemonia statunitense su questo terreno.
2. Le televisioni pubbliche che condividono i medesimi fondamenti e le medesime finalità potrebbero, nel quadro dell’UER, integrare alcuni obblighi di produzione e diffusione e di cofinanziamento delle opere.
3. Un prototipo di Carta delle missioni del servizio pubblico potrebbe essere adottata al fine di consacrare la loro esistenza istituzionale. I servizi pubblici sono un elemento centrale della democrazia, del pluralismo, della libertà d’espressione e dell’informazione e delle culture europee e non dovrebbero più essere considerate alla stregua di banali imprese operanti nel mercato unico. Questa Carta dovrebbe iscrivere come principio fondamentale l’indipendenza politica dei settori pubblici europei inspirandosi al modello della BBC. Come auspicato dal Comitato dei ministri di Reykjavik nel maggio 2009 su iniziativa del Consiglio d’Europa, occorrerebbe instaurare « una reale indipendenza editoriale e un autonomia istituzionale » dei servizi pubblici.
Le cooperazioni fra i servizi pubblici europei con l’aiuto dell’UER e del consiglio d’Europa possono costituire un utile contrappunto (contrappeso ?) all’evoluzione in senso liberale del diritto comunitario. Conclusione
La spinta in senso neo-liberale delle regole comunitarie ha favorito la deregulation dei servizi pubblici considerati come « SIEG » (Servizi di Interesse Economico Generale) (telecomunicazioni, trasporti, energia). Questo indebolimento della sfera audiovisiva pubblica favorisce la formazione di un modello di tipo nord-americano con un PBS di qualità ma, ai margini del sistema, l’esistenza di grandi gruppi privati molto concentrati e la formazione di un autorità di regolazione unica e potente. Questo scenario tendenziale prende piede in Europa in maniera paradossale dal momento che il principio « della concorrenza libera e priva di distorsione » è una realtà di fatto. Esso va di pari passo con il sostegno che gli Stati membri conferiscono ai proprio « gruppi campioni » in nome delle politiche industriali alla stregua di RTL-Group, , Bouygues-TF1, Fininvest o di News Corp. In queste condizioni l’Europa audiovisiva si trova per ora in una posizione schizofrenica barcamenandosi fra il principio fondatore della concorrenza il sostegno industriale ai propri campioni e la salvaguardia dei servizi pubblici come pilastri della democrazia.
Note (* - 1 )
Troviamo una definizione interessante delle reti pubbliche che:
« offrono al pubblico considerato in tutte le sue componamenti, un insieme di programmi e di servizi che si caraterizzano dalla loro diversità e dal loro pluralismo, la loro esigenza di qualità e di innovazione, il rispetto dei diritti della persona e dei principi democartici costituzionalmente definiti. »
« Esse presentano un'offerta diversificata di programmi in tecnica analogica e digitale nei campi dell'informazione, della cultura, della conoscenza, del divertimento e dello sport. Esse favoriscono il dibattito democratico, di scambi fra le diverse parti della popolazione cosi come l'integrazione sociale e la cittadinanza. Esse assicurano la promozione della lingua francese e valorizzano il patrimonio culturale linguistico nella propria diversità regionale e locale. Esse concorrono allo sviluppo e alle diffusione della creazione inellettuale artistica e delle conoscenze civiche, economiche, sociali, scientifiche e tecniche cosi come all'eucazione all'audiovisivo e ai media. »
«Esse assicurano l'onestà, l'indipendenza e il pluralismo dell'informazione cosi come l'espressione pluralista delle correnti di pensiero e di opinione nel rispetto del principio di uguaglianza di pari trattamento e nel rispetto delle raccomandazioni del Conseil supérieur de l'audiovisuel. »
« Gli organismi del settore pubblico della comunicazione audiovisiva, per l'esercizio delle loro missioni, contribuiscono all'attività audiovisiva esterna, all'irradiamento della francofonia e alla diffusione della culturale e della lingua francesi nel mondo. Si prodigano a sviluppare i nuovi servizi in grado di arricchire e completare la loro offerta di programmi cosi come le nuove tecniche di produzione e di diffusione di programmi e servizi di comunicazione audiovisiva. »
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Links :
Comunicato stampa: La Commissione approva il versamento di un contributo pubblico di 450 milioni di euro per France Télévisions e apre un'indagine sul meccanismo di finanziamento a lungo termine
Brussels, 1 st September 2009
http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/09/1264
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