Sintesi del Senatore Carlo Rognoni
Siamo nel mezzo di un processo di cambiamento profondo nel sistema dei media. Il nuovo scenario digitale rappresenta una vera e propria rivoluzione. E le aziende di servizio pubblico radiotelevisivo sono di gran lunga le più esposte allo sconquasso in atto. Rischiano di trovarsi al centro di una tenaglia in grado di stritolarle, delegittimarle, emarginarle rispetto alle altre grandi aziende di comunicazione. E non dimentichiamo che in prima linea ormai troviamo le ricche e potenti telco. Questa “tenaglia” ha un braccio che rappresenta l’evoluzione del mercato della crossmedialità e l’altro braccio che rappresenta la politica.
Se questo è vero in tutta Europa, in Italia lo è ancor di più. E gli effetti sono comunque più evidenti. Qui l’azione combinata di questi due fattori, mercato e cattiva politica – che si muovono non in sintonia fra di loro – rischia di trascinare la Rai in un precipizio di record negativi: di ascolto, di perdita secca di fatturato pubblicitario, di crescente disinnamoramento dei telespettatori, spinti a non pagare il canone o comunque a pagarlo sempre più malvolentieri.
Ci sono almeno due domande semplici che sovrastano tutte le altre: quali ragioni militano a favore del modello “duale” europeo, caratterizzato dalla coesistenza nel mercato televisivo di broadcaster privati e di un soggetto pubblico con ascolti rilevanti? E poi, quali sono le “condizioni di sopravvivenza” dei media di servizio pubblico nella società dell’informazione?
Incontri come questo del “Gruppo Europeo di Torino” organizzato da Infocivica in contemporanea al Prix Italia, sono di grande utilità. Sono ambiziosi, perché ambiziosa è l’idea di arrivare a un Libro Verde che induca sia il mondo politico sia il mondo imprenditoriale sia la società civile a una riflessione seria e approfondita sul senso e sul futuro dei servizi pubblici.
Tutto questo grande lavoro che al momento coinvolge soprattutto professori universitari di tanti Paesi europei ha due obiettivi meritori: ridare all’Europa – proprio in questa fase in cui l’Europa sembra aver perso il filo della crescita politica e istituzionale – l’orgoglio per un ruolo forte in uno dei campi in assoluto più delicati e politicamente sensibili come i new e gli old media.
Senza contare l’importanza economica strategia del sistema mondiale dei media. E’ stato scritto che “la guerra mondiale dei contenuti è dichiarata”. Frederic Martel in un bel libro intitolato Mainstream ha scritto:
“All’interno dei flussi di contenuti internazionali, misurati in termini quantitativi in modo impreciso da Fmi, Wto, Unesco e Banca mondiale, c’è un colosso come gli Stati Uniti che esporta ampiamente e ovunque i propri contenuti con circa il 50 percento delle esportazioni mondiali. Insieme a Canada e Messico, l’America del Nord domina gli scambi senza avere concorrenza (circa il 60 per cento delle esportazioni mondiali). Segue un potenziale concorrente, ma probabilmente in declino come l’Unione Europea composta da ventisette paesi, con un terzo delle esportazioni”.
E’ un’idea velleitaria e impraticabile quella di pensare a una grande compagnia europea di produzione di contenuti? Magari proprio a partire da un accordo fra servizi pubblici europei?
Oggi l’importanza del sistema dei media l’ha sintetizzata meglio che mai il sociologo spagnolo Castells, quando ha scritto che “è più di un quarto potere. E’ il terreno di gioco in cui tutti i poteri, quello politico, economico, sindacale, sociale, associazionistico, si incontrano, si confrontano, si scontrano”. Da qui l’importanza, per una democrazia moderna e avanzata, di avere un terreno di gioco neutro e un arbitro non comprato e non comprabile.
L’altro grande obiettivo che si può cercare di mettere al centro dell’attenzione della pubblica opinione, con una iniziativa meritoria come questa di Infocivica, è quello di rilanciare e ridefinire la discussione sulla missione del servizio pubblico, che resta una delle caratteristiche dei nostri paesi europei.
Accanto alle funzioni tradizionali (garantire l’universalità del servizio, tutelare il pluralismo, la diversità e la qualità dell’informazione, contribuire alla crescita della cultura e dell’identità nazionale) e agli obblighi dettati dalla rivoluzione digitale (rendere i contenuti accessibili su tutte le piattaforme, offrire contenuti online di qualità, guidare il passaggio dalla tv analogica a quella digitale) sembra emergere con sempre maggiore forza, un nuovo imperativo per gli Stati: garantire autonomia e distanza dal potere che deve controllare. Nei documenti del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa si coglie sempre più l’insistenza sull’indipendenza politica ed economica, quale requisito indispensabile per la credibilità del servizio pubblico e per lo svolgimento della sua missione.
Sono personalmente sempre più convinto, poi, che la condizione di sopravivenza di un servizio pubblico che in molte parti d’Europa mostra profondi segni di crisi, è che la televisione pubblica si trasformi progressivamente in una “istituzione”: una istituzione non partigiana, indipendente, di garanzia, con un ruolo counter-majoritarian, di controllo dell’operato del potere e di garanzia del pluralismo, sul tipo di quello esercitato in Italia dalla Corte costituzionale e dalla magistratura, ma anche una istituzione in grado di promuovere l’identità e la diversità culturale di un Paese, rispetto a una televisione commerciale che tende a una omologazione su scala internazionale, con un ruolo non così lontano da quello della scuola pubblica.
Intanto in Italia non si può non vedere il crescente disagio e distacco che matura nell’opinione pubblica verso un’azienda che in passato è stata una fucina di idee, e un importante fattore di coesione nazionale. Si può immaginare che nel futuro la Rai torni a essere una vera palestra di creatività e libertà espressiva, di innovazione? E che scopra il gusto per l’autonomia? Al di fuori di questi obiettivi è difficile trovare un senso riconoscibile per un servizio pubblico.
D’altra parte è proprio sulla base di queste convinzioni che le opposizioni in Italia, tutte insieme, hanno cominciato a ragionare sulla necessità di un immediato intervento legislativo per cambiare almeno i criteri di nomina del consiglio di amministrazione della Rai. Sarebbe un primo passo verso l’emancipazione dell’azienda dalla cattiva politica. Servirebbe a dare alla Rai le condizioni minime per affrontare il nuovo mare magnum del mercato digitale, finalmente con una strategia di medio e lungo termine, libera da insopportabili e costosi conflitti di interesse altrui.
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