Riceviamo e volentieri pubblichiamo
APPUNTI SUL CONCETTO DI SERVIZIO PUBBLICO TELEVISIVO
NELL’EPOCA DEL DIGITALE E DELLA GLOBALIZZAZIONE
Le numerose circostanze della vita sociale contemporanea rendono sempre più urgente la riflessione aggiornata e accurata sul senso e le caratteristiche di ruolo e di missione ufficiale del servizio pubblico radiotelevisivo. Le origini del concetto, così come l’evoluzione storica che esso ha subìto nel dipanarsi di questi ultimi 60 anni di televisione in Italia, rendono ad ora chiare 3 consapevolezze:
1 - l’attribuzione dell’incarico di servizio pubblico radiotelevisivo non è basata su preclusioni di sorta nei confronti dei soggetti di emittenza privati, ma il controllo ultimo e la responsabilità sociale del corretto estrinsecarsi di tale servizio deve risiedere in capo alla comunità nazionale dei cittadini e agli organismi di verifica istituzionali, ragion per cui vanno stabiliti previamente e con certezza condivisa parametri di riconoscimento dell’avvenuta produzione di servizio pubblico. Sin dagli esordi il servizio pubblico è stato quindi considerato anche imprenditorialmente di iniziativa statale (la proprietà della Rai nasce completamente in mano all’IRI), tanto che oggi amministrativamente il canone viene ancora nominalmente riscosso dallo Stato che poi lo gira alla Rai (per accelerare le transizioni comunque provvede a raccoglierlo la stessa Rai tramite il suo ufficio abbonamenti, non essendo stato mai messo in dubbio il suo incarico di servizio pubblico). Nel caso di privatizzazione della Rai o attribuzione dell’incarico di servizio pubblico a gruppo emittente privato, insomma, si deve garantire una erogazione di servizio televisivo che rispetti appunto determinati criteri, molti dei quali già sanciti nel Contratto di Servizio Stato-Rai, tenendo presente che non basta definire (per fare solo degli esempi) quote di trasmissioni a scopo di tutela delle minoranze o dalle finalità manifestamente educative per poter dire di aver adempiuto agli obblighi di servizio pubblico, se nel concreto della percezione del pubblico non si riscontra proporzionalmente una simile attestazione (una ricerca del 1999 a cura di Vittorio Bossi dimostra che non c’è molta differenza di programmazione tra Rai e l’emittenza commerciale nazionale e molti obblighi di servizio pubblico a carico della Rai sono considerati dai telespettatori alquanto “ordinari” e “comuni” con le televisioni private).
2 - Nel concreto della comunicazione contemporanea, poi, la televisione vive calata sempre più nel quadro della globalizzazione dei mercati e delle culture, e della convergenza tecnologica favorita dall’assetto digitale dei media. Ciò significa che i supporti di veicolazione di prodotti televisivi passano ad essere ora anche cellulari, web-tv, pay-tv, etcc… e che monitorare solo il trasmesso dagli schermi tradizionali (digitale terrestre, in chiaro o criptato) significa limitare riduttivamente la portata del concetto di servizio pubblico. A tal proposito, quindi, va sottolineato parallelamente il cambiamento nella sfera del consumo, sempre più personalizzato e auto-diretto, che abbatte la monodirezionalità consueta dell’emittenza pubblica e amplifica la frammentazione dei pubblici ne La fine della comunicazione di massa (Bologna 1997) Olivi e Somalvico interrogano il servizio pubblico sul ruolo che deve continuare ad avere per non lasciare il campo ad una pericolosa sorta di anarchia fruitiva dell’audience. Gli organismi istituzionali preposti ad accertare l’adempimento della missione di servizio pubblico, d’altronde, devono attrezzarsi ad “inseguire” il concetto e riconoscerlo in una mutata situazione in cui principalmente i broadcasters funzionano da filtri di selezione di una ampia gamma di proposte provenienti dai producers indipendenti, nonché devono far i conti con le istanze performative dell’audience, che pure si cimenta nell’autoproduzione di informazioni e generalmente di audiovisivi esprimenti l’attuale cultura partecipatoria.
3 - Il concetto di servizio pubblico implica, a livello di forme di finanziamento, che si paghi un canone a fronte del quale fruire di contenuti e produzioni che si qualifichino per un beneficio finale nell’utente significativamente diverso da quelli scaturenti da altre fonti emittenti. Come considerare però la progressiva perdita di credibilità dell’idea stessa di “pubblico” (sintomo ne è la crescita d’evasione del canone e l’astensionismo elettorale), visto che i cittadini si stanno ritirando nel “privato” dei propri interessi e nello specifico dei propri consumi di nicchia? Soltanto certi “eventi” resistono ancora a dare un senso di comunità allargata (si pensi agli avvenimenti sportivi nazionali, ai grandi festival musicali, alle dirette speciali su fatti di cronaca straordinari come i terremoti), e ci spingono a pensare che il concetto di servizio pubblico si sia ristretto alla funzione bardica della Tv che John Fiske aveva individuato già nel 1982, e che Katz e Dayan hanno analizzato come “le grandi cerimonie dei media” (ed. Barskerville, 1993). La ragione sta nel fatto che sono eventi di una tale importanza che non possono essere elusi perfino dal cittadino più civicamente indifferente. Il problema semmai si pone con le dimensioni di intrattenimento e informazione che esplicano due funzioni cruciali insieme (affabulatoria e modellizzante, per dirla sempre con Fiske); la tutela dei più svantaggiati va quindi garantita predisponendo una Tv per essi “migliorativa” per contenuti e stile di espressione, e per tutti generalmente formativa di una coscienza democratica e costruttiva. Ma come fare se il pubblico propende decisamente per scelte di consumo contenutisticamente più superficiali e strategicamente più imprevedibili? E proprio nell’ambito dei generi d’evasione?
Alla luce di quanto esposto possiamo riprendere i 3 capisaldi storici della BBC (informare, educare, intrattenere) con l’intento di rielaborare di conseguenza una proposta utile a indicare quei parametri indispensabili a giustificare oggi il ruolo e la missione del servizio pubblico radiotelevisivo.
Già nel BBC Annual Report and Accounts 1991-1992 si definivano le “qualità” che fanno un servizio pubblico degno di esser chiamato tale: l’integrità, l’indipendenza, la ricerca dell’eccellenza, l’offerta del miglior servizio possibile al maggior numero possibile di spettatori. Per Marmaduke Hussey, chairman della BBC, i principi che motivano il ruolo di servizio pubblico della BBC: consistono nella «necessità di uno spazio che non sia legato agli interessi di singoli o privati investitori; necessità di un broadcaster che nella scelta della propria programmazione non debba seguire le indicazioni di chi avrà ritorni economici dall’attività di trasmissione; necessità di mantenere e valorizzare un’organizzazione che è parte cruciale della reputazione ed influenza internazionale della Gran Bretagna nel mondo; necessità di un apparato televisivo che sia in grado di riflettere le dimensioni locale, regionale e di minoranza del Paese e di mettere in contatto con il mondo e tra esse». Negli USA invece, una ricerca del Public Broadcasting Service (PBS, 1986) ha chiesto agli intervistati di giudicare la Tv pubblica in confronto a quella via cavo ed a quella commerciale. Gli spettatori dovevano scegliere, in una lista di parole, quelle che secondo loro descrivevano meglio ciascuno dei diversi tipi di televisione. Gli attributi che meglio designavano la Tv pubblica nelle opinioni raccolte sono: educativa, informativa, stimolante, immaginativa, vera.
Se ne ricava allora che un servizio pubblico è oggi riconoscibile da un particolare stile di guida del pubblico nelle sue esperienze di fruizione, senza ancoraggi a generi precisi e contenuti particolari. Perciò nella Royal Charter britannica le caratteristiche che deve avere un servizio pubblico vengono ad essere delineate meglio come la capacità di essere: Istruttiva - Sostenitrice di democrazia consapevole e cittadinanza attiva - Emblematica della cultura nazionale - Rappresentativa delle comunità del territorio - senza l’esigenza di specificare formati e modalità di trasmissione.
Piuttosto che dal numero di ore trasmesse su certi contenuti e per certe programmazioni bisogna invece considerare quindi questi obiettivi e valutare il loro raggiungimento. Quel che adesso deve contare maggiormente, insomma, è l’effetto delle attività televisive e i benefici che ne ricava il pubblico.
Anche l’OFCOM (l'autorità competente e regolatrice indipendente per le società di comunicazione nel Regno Unito http://www.ofcom.org.uk) ha stabilito infatti che il servizio pubblico non debba più essere definito in base a “specifiche tipologie di programmi o a quanto prodotto da determinate istituzioni” ma all’efficacia di tutti i tipi di programmi nel far pervenire il pubblico alla maturazione degli obiettivi. In regime di monopolio televisivo in Italia, per fare un esempio, era più semplice perseguire tale compito perché si poteva impostare una Tv pedagogica che avrebbe consentito il raggiungimento di questi obiettivi attraverso l’azione direttiva (“dall’alto”) che automaticamente garantiva i 5 livelli.
In regime di pluralismo e apertura dei mercati quale quello odierno, non si ha più la possibilità di propinare a tutti a una dieta mediale omogenea e prestabilita, né la certezza che gli utenti sappiano adempiere al proprio miglioramento per tutti e 5 i “valori pubblici” suddetti.
Il ruolo del servizio pubblico allora deve connaturarsi più che altro nella pretesa di creare una cultura comune condivisa fatta da eventi e informazioni generalisti e fondamentali per tutti, e nella proposta di una sensibilità umana ispirata dai suddetti “valori pubblici”, senza bloccarli in una forma di genere o contenutistica unica, ma lasciando che si traducano in una molteplicità di formati.
Le trasmissioni di un servizio pubblico devono poter corrispondere ai seguenti requisiti: Professionali - Stimolanti - Originali - Innovative - Coinvolgenti.
Per rilevare appunto il grado di “servizio pubblico” bisognerà indagare presso il pubblico fruitore quanto il trasmesso adempia a questi parametri, contemporaneamente incrociando il risultato con un’indagine sull’acquisizione dei cittadini durante la fruizione televisiva dei 5 Public Values: valore democratico-civile - valore creativo-culturale - valore educativo-formativo - valore sociale-comunitario - valore globale-rappresentativo.
La valutazione deve mirare in definitiva a stabilire quanto il fruito televisivo ha oggettivamente contribuito a costruire il cittadino articolandolo sotto i 5 profili suddetti, e quindi quanto l’offerta del canale di servizio pubblico sia stata efficace. Dovendo specificare gli indicatori di ricerca dei “valori pubblici” dobbiamo preliminarmente sottolinearne la loro “sistemicità” cioè il fatto che ogni indicatore in realtà potrebbe assumere una valenza di indicazione secondaria e integrativa anche per gli altri valori.
In via principale, comunque, si può proporre come indicatore del primo tipo di valore la rappresentazione non discriminatoria di persone e culture; come indicatore del secondo tipo di valore si potrebbe assumere la sperimentalità di linguaggi e temi; come indicatore del terzo tipo di valore invece potremmo porre la conoscenza di contenuti e situazioni esistenziali rilevanti; come indicatore del quarto tipo di valore l’acquisizione di princìpi costituzionali ed etico-morali; come indicatore del quinto tipo di valore infine considereremmo l’immagine del Paese e della sua identità.
12 aprile 2010 |