UNA RAI HYPERLOCAL, PER UN NUOVO PRIMATO DEL SERVIZIO PUBBLICO
di Michele Mezza
Contributo al dibattito "Una testata unica per la Rai?
Denuncio subito la tesi che vorrei sostenere: siamo ad un cambio di lingua e non di linguaggio, ossia di struttura logica e non solo di forma espositiva, per il ciclo industriale delle news, e più in generale per l'intera offerta di servizio pubblico civile, di cui l'informazione è la materia prima.
Per questo credo che si debba procedere ad una riflessione che investa più radicalmente di quanto non si faccia il contenitore industriale del sistema televisivo, più che la concatenazione dei contenuti. E, prioritariamente, si debba dedicare più tempo all'analisi dei comportamenti degli utenti, piuttosto che alle elucubrazioni sul futuro dei format o delle applicazioni tecnologiche.
Credo che si debba partire dalla constatazione di Tim Bernars-Lee, il padre del web, il quale sostiene che Internet sia una rivoluzione sociale e non tecnologica.
Trovo, per questo, altamente emblematico il caso della Nokia . La sua crisi credo che vada attentamente studiata da parte dei grandi gruppi editoriali europei, in particolare dalla Rai.
Il gigante finlandese della telefonia cellulare ha visto in pochi anni il proprio mercato ridursi del 75%. Numerose sono le ragioni per cui i suoi modelli soccombono di fronte all' I-phone della Apple, o alla piattaforma Android di Google, o rispetto ai terminali che adottano il sistema editoriale di Microsoft. Ma la ragione delle ragioni, che riassume e spiega esaurientemente tutte le singole sconfitte è che Nokia,come cultura industriale, non è riuscita ad affrontare la rivoluzione copernicana, che ha portato il mercato della telefonia mobile dalla centralità dell'hardware a quella del software.
Il software oggi è il motore della società contemporanea .E' la rilevanza di questa nuova potenza industriale che ci spiega come mai la lista delle principali società più capitalizzate del mondo sia capeggiata da società che modellizzano funzioni individuali in algoritmi di software (Google, Apple, Facebook,Yahoo,Microsoft), mentre le società che trasformano merci e consumano energia come General Motor o Ford,seguono a lunga distanza. Una tendenza di macroeconomia che investe, da tempo,l'area della comunicazione, ed in particolare l'editoria televisiva. I media sono la lente d'ingrandimento di questa tendenza. I contenuti sono ormai null'altro che linguaggi di applicazioni software. Le prime media company del mondo sono , appunto, sempre i centri del software editoriale come Google, Apple, Yahoo, Microsoft, e nei singoli mercato, America On Line negli Usa, e Telecom o Vodaphone in Italia.
Come spiega Lev Manovich, uno dei più completi analisti del mercato editoriale mondiale, nel suo ultimo, lucidissimo libro “ Software culturale ”, “Il software è ciò che rende possibile ciascuna delle nuove dimensioni vivere sociale su cui le teorie sociali dell'ultimo decennio si sono concentrate: l'informazione,la conoscenza, la reticolarità”.
Da questa constatazione discende una conseguenza che credo sia indispensabile alla nostra riflessione: la partita competitiva si gioca sulle capacità da parte dei vecchi gruppi editoriali di diventare centri servizi per l'automatizzazione di funzioni pregiate delle professionali multimediali.
In sostanza, usare la propria esperienza nel contatto con la platea del proprio pubblico per intercettare e elaborare domande di contenuti che diventano anche sistemi utente. I nuovi format televisivi sono sistemi utente portabili su tutte le piattaforme, il flusso delle news sono sistemi utente fruibili in ogni dove,l'intrattenimento on demand è un sistema utente selezionabile da ogni singolo spettatore.
Discutere di futuro aziendale per la Rai, discutere di primato nel campo dell'informazione di base, discutere di nuovi linguaggi giornalistici, significa discutere del potere di governare, negoziare e applicare la potenza del software al proprio ciclo produttivo.
Con questa affermazione drastica, so bene di essermi giocato gran parte della quota di indulgenza su cui contavo per esprimere schematicamente il mio pensiero.
Cercherò di non abusare della disponibilità di voi tutti a tollerare un ragionamento molto drastico e imperativo, ma si tratta anche di non perdere il vostro tempo in lungaggini cerimoniali.
Il secondo fattore che considero essenziale per ragionare, oggi, di informazione pubblica, è la velocità.
“La bellezza della velocità” invocata da Marinetti nel manifesto futurista, oggi è diventata l'indispensabilità della velocità. I nuovi servizi di Google Instant e Facebook Real Time, introducono quella che nel mio ultimo libro - Sono le news, bellezza (Donzelli, 2011) - ho definito la “sesta W del giornalismo:W come While”. Siamo , ormai da tempo, nell'epoca dell'informazione simultanea.
Nel 1980 la CNN nasceva con lo slogan “Slow news no news”. Oggi siamo arrivati alla formula “Slow Analysis no Analysis”.
Del resto il mondo ci dimostra che la velocità è ormai una pretesa sociale di massa. L'intera attività finanziaria oggi si gioca sul filo di alcuni millesecondi. Il sistema di hight frequency trading adottato dalla borsa australiana ha abbassato il tempo di esecuzione degli ordini da 3 millesecondi a 250 microsecondi (milionesimi di secondo). Gli spyder di Google che cercano risposte alle infinite domande dopo tre volte che rimangono delusi visitando un certo sito a caccia di notizie, cancellano quel sito dalle proprie liste. E' la morte professionale per chiunque vi lavori.
Software, velocità e territorio.
Siamo al terzo fattore di usabilità dell'informazione: la georeferenziazione.
La localizzazione delle informazioni in un contesto territoriale è oggi il requisito che da valore aggiunto alla competitività editoriale.
Sia negli Usa, che in Inghilterra, l'unico settore in ascesa dell'offerta di informazioni è proprio il cosi detto Hyperlocal, ossia la capacità di offrire, in real time, mappe che contengono e “impaginano” le singole notizie o istruzioni: una specie di Tom Tom del giornalismo.
Non a caso Around Me , la funzione, che assume nomi diversi per ogni tipo di provider, che permette di localizzare servizi o notizie sul territorio che ci circonda in un dato momento, è l'applicazione più cliccata su ogni piattaforma.
Lungo questa linea di ragionamento si arriva alla proposta di sviluppare, anche nel nostro paese, un servizio di questo tipo. Un paese dove la mobilità territoriale supporta ruoli e funzioni centrali, dalla tipica conformazione comunalistica del sistema Italia, alle vocazioni turistiche e di tipicità economica locale (i distretti). Tutto in Italia ci porta a considerare il territorio come principale matrice della comunicazione.
Eppure manca un sistema sorretto da linguaggi, modelli e circostanze pertinenti, usabili, e assolutamente originali. Il punto è proprio capire come si debbano riconfigura e riprogettare sistemi e patrimoni informativi per assicurare una nuova lettura del territorio. Chi debba e possa riorganizzare professionalità e sopratutto, come abbiamo detto, piattaforme di software.
La Rai potrebbe essere il protagonista di questo progetto, dando finalmente risposta alla domanda che incombe da anni, e che trova sempre risposte ideologiche o astratte, circa quale missione pubblica vi debba essere in un mercato ormai dove si abbassano vertiginosamente le soglie di accesso e le abilità di produzione.
La Rai, proprio come servizio pubblico, può e deve essere il principale provider multimediale del paese che traduca nei nuovi linguaggi e comportamenti digitale l'offerta di informazione locale, che fino ad ora l'ha contraddistinta come “diversa”.
La domanda di questo tipo di servizio è ormai fin troppo evidente: 11 regioni sono già impegnate nell'allestimento di piattaforme di web Tv georeferenziate. Numerosi canali locali si proiettano sul mercato nazionale:basta scanalare la fascia 500 dei canali Sky per trovare varie offerte di informazioni di flusso territorializzate.
Proprio su questo mercato locale, inoltre, la Rai dispone delle sue forse produttive più poderose, e costose, potremmo aggiungere: 800 redattori, 22 sedi, mezzi e risorse tecniche rilevanti. Grande presenza, ma senza un primato riconosciuto.
La nostra proposta è un progetto, di cui uno schema avanzato è già stato elaborato all'interno dell'azienda, per sviluppare un motore di informazione Hyperlocal, che coniughi la selezione dell'informazione, con la potenza di impaginazione in ogni ambito locale, fino all'estrema unità territoriale decentrata, che coincide con l'indirizzo dell'abitazione di ogni singolo utente. Il sistema infatti deve essere pensato sia per agire come infrastruttura delle redazioni regionali – una sorta di agenzia interna dell'azienda - dove integrare e raccogliere l'intero flusso di informazioni territoriali, sulla base di annunci, documenti e filmati che affiorano dalla rete; e sia come servizio on demand da proporre nel portale Rai e da distribuire poi con alleanze con provider telefonici. In sostanza si tratta di elaborare una capacità di raccolta di notizie locali, sulla base di software semantici, contestualizzandole poi in mappe tipo Google Earth.
Su questa base sarebbe possibile riorganizzare i processi produttivi nelle singoli sedi, spostando l'attività su funzioni di post produzione, cioè di re-impaginazione di materiali prodotti da altri, e non più di arcaica riproduzione di quanto è già in rete. Fondamentale sarebbe poi l'integrazione della filiera delle fonti territoriali, come è la TGR, con il server di Rainews24, che tutt'oggi, anche se la stessa testata non sembra accorgersene, ha come patrimonio principale non tanto la capacità di duplicare funzioni e modelli da TG, quando la possibilità di integrare i flussi della rete nel modello industriale del Broadcasting, grazie alle sue dotazioni di server e database. Nel breve spazio concessomi non sono in grado di allargare ulteriormente l'illustrazione della proposta ma spero nel dibattito di avere occasione di entrare nel merito del progetto.
E' questo un cambio radicale di orizzonte, me ne rendo conto. Un cambio non dissimile da quanto sta maturando BBC, come ci racconta Matteo Maggiore, e sopratutto come ci documenta il nuovo Digital Britain Act che orienta la nuova missione dell'ente radiotelevisivo pubblico inglese nel nuovo contesto digitale.
Un cambio di strategie, di mercato, di missione, di profili professionali. Sulla base della constatazione che quanto sta accadendo attorno a noi non ha nulla di determinismo tecnologico, ma molto di processo sociale, di trasformazione degli utenti e non delle tecnologie, che mutano come conseguenza e non come causa dei nuovi fenomeni. |