di Andrea Melodia
Il più importante
tra i mass media, la televisione, sembra essere
uscita dal ventesimo secolo con una immagine
appannata, quasi vergognosa ormai del ruolo sociale
svolto per alcuni decenni, decisamente orientata
a una funzione ludica e edonistica, appagata
del mantenuto successo commerciale. Proprio per
questo motivo dobbiamo tornare a parlare del
suo ruolo sociale, e in particolare del suo ruolo
nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
Aveva forse ragione Neil
Postman quando, di fronte ai pericoli dell'invadenza
di un Grande Fratello orwelliano che ispirato
ai totalitarismi del secolo si dedicasse al controllo
degli individui, indicava piuttosto il rischio
di un modello più subdolo
e strisciante, quello immaginato da Aldous Huxley
nel suo Mondo Nuovo, nel quale il piacere individuale
e la tecnologia biologica sarebbero stati i collanti
della omologazione collettiva. In effetti le ideologie
totalitarie sono cadute, l'uso propagandistico
dei media si è stemperato – ma certo non è cessato – e
i media continuano a svolgere verso la società civile
un ruolo quanto meno ambiguo.
Le opinioni sono ovviamente
molteplici. In estrema sintesi, si può essere d'accordo sulla liceità di
un uso dei media orientato al profitto, e il principio
del piacere ne costituisce legittimamente la principale
fonte energetica. Ma non ci sono altre necessità?
Sono diminuite alcune tra le motivazioni essenziali
che negli anni '50 hanno accelerato la diffusione
della televisione: il bisogno di conoscere un mondo
prima irraggiungibile ai più, quella di
semplificare e avvicinare i sistemi linguistici
e culturali, quella di assistere l'urbanizzazione
e la modernizzazione. Ma non ci sono nuove motivazioni?
I media sono percorsi da mode, spinte ai consumi
e agli stili di vita soprattutto giovanili, che
alcuni ritengono funzionali alla evoluzione sociale,
altri indicano come elementi di disgregazione e
di decadenza. In termini valoriali queste tematiche
comunque sembrano riguardare la vita privata. Il
benessere collettivo appare abbondantemente trascurato
anche nell'immediato, quasi fosse estraneo al mandato
dei media.
Nella tradizione culturale
delle società europee
di televisione pubblica la progressiva rinuncia,
l'una dopo l'altra, alle funzioni tipiche di servizio
pubblico dovrebbe essere fortemente traumatica.
Eppure alcuni di questi traumi si sono già consumati
senza che si levassero grandi pianti: che dire
per esempio sulla velocità con cui RAIUNO
ha imitato il suo principale concorrente, CANALE
5, nel rinunciare a una offerta pomeridiana dedicata
ai ragazzi? O che dire a proposito di un sistema
di informazione sulle istituzioni attento soprattutto
agli interessi degli individui e dei gruppi anziché a
quello della collettività?
Molti interpretano il servizio
pubblico come indissolubilmente legato all'audience
generalista. Se questa venisse meno, argomentano,
il servizio pubblico ne risulterebbe svilito
e delegittimato. Tuttavia il prezzo della delegittimazione
non si dovrebbe pagare abbassando la qualità oggettiva dell'offerta. Invece
pochi programmi di qualità o con specifiche
finalità di servizio in fasce di basso ascolto
fanno da foglia di fico, in condizioni di sostanziale
trascuratezza editoriale, alle cadute di livello
del prime time e di altre fasce importanti.
Eppure il fenomeno centrale
dei media in questi anni è la diversificazione. I canali si
moltiplicano, in qualche caso si semplificano e
i costi si abbattono, i giovani assaporano la possibilità di
uscire dal ruolo passivo, di trasformarsi in produttori
di media. La rivoluzione digitale accompagna l'illusione
che tutto sia possibile; ma per qualche eccezione
che vede informazioni autogestite e prodotti fatti
in casa accedere ai grandi media industriali resta
la regola di una comunicazione di massa rigorosamente
centrifuga. Il broadcasting generalistico ne è ancora
il massimo esempio vincente. Dunque sono canali
fortemente minoritari quelli che gestiscono le
questioni sociali. Solo la discussione politica,
spesso intesa nelle sue manifestazioni più spettacolari
e conflittuali, trova parziale sbocco nel mainstream .
Altri casi di spazi protetti possono apparire cocciutamente
sopravvissuti a esigenze superate, retaggi del
passato destinati a sparire.
Bisogna sgomberare la mente dalle ideologie e
dalle opinioni sentimentalmente radicate per cercar
di capire se i media abbiano altri ruoli da svolgere,
ovvero se possiamo permetterci solo questo
uso dei media . Non è questa la
sede per affrontare un tema molto complesso, quello
della qualità, che pure non è estranea
al discorso che stiamo svolgendo; limitiamoci alla
questione specifica dell'accesso della comunicazione
pubblica ai grandi media.
Oggi i servizi al cittadino,
l'accesso alle informazioni specifiche, l'interattività di servizio,
i generi educativi possono trovare specifici canali
di diffusione a costi relativamente contenuti.
Perché dunque preoccuparsi se i grandi canali
maggioritari seguono strade più facili e
competitive?
Questa è una opinione
diffusa che non deve essere trascurata: potrebbe
essere quella storicamente vincente.
Assecondando questo orientamento forse maggioritario,
occorre un vero e proprio sforzo diretto
a far rinascere su canali dedicati alcuni compiti
tradizionali del servizio pubblico, quelli che
rischiano di essere travolti dal mainstream generalistico .
Probabilmente questa è la principale strada
che consente di rivitalizzare questo tipo di domanda
e di offerta. È un compito essenziale; prima
di affrontare una seconda conclusione, che ci porterà ad
affermare che questo percorso è necessario
ma non sufficiente, soffermiamoci dunque ancora
su questo punto; e inseriamo qui anche l'iniziativa
di Infocivica .
La moltiplicazione dei canali
ha cancellato la logica principale di una politica
diretta a esaurire il valore del servizio pubblico
nei canali generalisti. Se non si riesce a conservare
la linea editoriale di un canale generalista
su un percorso coerente, eventualità oggi trascurata anche per le
oggettive difficoltà della competizione
degli ascolti, occorre almeno favorire la disponibilità di
quei servizi e di quel livello qualitativo, anche
in orari di prime time, su canali più decentrati.
Forse questo rilegittimerà il servizio pubblico
e anche il canone; se i buoni programmi esistono,
dovranno accorgersene anche gli spettatori che
guardano la TV solo nel tardo pomeriggio o nelle
prime ore serali.
Dicevamo di Infocivica. Dietro
questo nome per il momento c'è una Associazione, di cui è Presidente
il prof. Bino Olivi, che si ispira alle riflessioni
svolte ad Amalfi nel settembre del 2000 in un seminario – poi
pubblicato da Stefano Rolando su questa rivista
- nel quale si analizzarono le esigenze di comunicazione
tra i cittadini e le istituzioni e in particolare
venne dibattuta la proposta di un canale televisivo
dedicato, chiamato appunto InfoCivica. Non sono
stati molti da allora i passi concreti, ma le motivazioni
si sono rafforzate e la neonata associazione sta
elaborando un programma ambizioso. Esperti a livello
accademico o pubblicistico in tematiche legate
alla comunicazione e alle sue tecnologie, rappresentanti
della pubblica amministrazione attivi nella comunicazione,
manager di aziende di comunicazione, professionisti
della comunicazione, giornalisti motivati hanno
raccolto le loro forze per realizzare il libero
scambio tra cittadini e istituzioni e rinsaldare
nella coscienza di ciascuno la necessità di
tutelare il patrimonio acquisito con la Carta costituzionale. “La
nostra è una storia di lacerazioni e divisioni
e noi dobbiamo imparare a confliggere e dividerci,
secondo lo spirito del maggioritario, senza mettere
in discussione senso della nazione, senso dello
Stato e senso delle istituzioni.”
In spirito di totale autonomia
da ogni tipo di interferenza, rigorosamente in
equilibrio rispetto allo scontro politico, Infocivica
si batterà perché il
rinnovamento delle istituzioni coinvolga fino in
fondo i cittadini, ai quali devono essere garantiti
la disponibilità di strumenti di informazione
liberi e l'accesso a quelle forme di interattività,
di partecipazione e di decentramento che nella
moderna società dell'informazione possono
diventare strumenti di democrazia. Si è infatti
convinti che la disgregazione sociale derivi dalla
banalità e dal disimpegno di forme comunicative
massificate ed esteriori piuttosto che dalla apparente
dissonanza di opinioni comunque volontarie e in
qualche modo mature. “Ciò deve ridare fondamento
e legittimazione alla stessa organizzazione del
sistema politico e istituzionale, in quanto sistema
della società complessa differenziato ed
autonomo rispetto al sistema dell'economia.”
L'Europa, le sue istituzioni,
la crescita del “sentire
comune” tra i suoi popoli sono tra gli obbiettivi
di Infocivica. Dopo i decenni in cui la televisione
ha costruito una lingua comune nelle nazioni, ora
forse è giunto il tempo di usare la televisione
per costruire il senso dell'Europa, cominciando
dal rapporto tra i cittadini e le istituzioni preposte
a gestire l'unione del continente. Forse verrà un
tempo, quando i nazionalismi si saranno assopiti,
per costruire anche una lingua e una cultura comune.
Partendo da questi principi,
Infocivica riprende gli studi e le iniziative
per la costruzione di attività specifiche. Si tratta di far convivere
nella pratica dei palinsesti di TV, radio, siti
web e altre produzioni multimediali l'informazione
istituzionale, quella di servizio e una selezionata
gamma di offerte a contenuto storico e culturale
con una mediazione professionale che ne garantisca
autorevolmente la piena fruibilità e che
sappia sollecitare le risposte attive dei cittadini. È questo
un passaggio obbligato per ridare credibilità alle
istituzioni. Proclamando la propria insostituibile
necessità e utilità sociale al più alto
livello della comunicazione professionale, e non
mescolandosi ai consumi di massa, questi canali
troveranno legittimazione e sostegno economico
pubblico e privato.
C'è infine un altro livello del discorso,
che ci riporta a parlare dell'audience generalista.
La convinzione, agli albori i questo XXI secolo,
che la televisione generalista, il mass medium
per eccellenza, il canale “nazionale” con i suoi
milioni di spettatori reali o potenziali, non abbia
affatto esaurito il suo compito sociale. E quindi,
la “segreta” convinzione che se lavoriamo a rivitalizzare
la comunicazione pubblica anche nella televisione,
a lungo andare, questo tornerà utile anche
al mainstream generalista.
L'ultimo mezzo secolo, almeno
in Europa, è stato
tra i più pacifici della storia. Non vogliamo
pensare al pericolo di guerra, oggi per fortuna
lontano; ma sono molteplici i rischi di crisi sociale
di varia gravità. La sensibilità moderna
ha accresciuto il livello di attenzione, ed è sempre
più facile che la società “vada in
crisi”: per motivi politici, economici, meteorologici,
di traffico, di ambiente, di sanità, di
distribuzione energetica, di infrastrutture di
comunicazione, di carenze assistenziali o scolastiche, …
Queste crisi esigono non
solo risposte delle istituzioni, ma lo sviluppo
di canali comunicativi dedicati per la raccolta
interattiva di informazioni e la loro diffusione
su molteplici media, compresi i grandi canali
generalisti. La capacità di
questi ultimi di rispondere ai grandi eventi pubblici
al fine di consentire coesione sociale potrebbe
alla lunga essere il principale motivo della loro
sopravvivenza, di fronte alla offensiva specialistica
e tematica dell'offerta multicanale.
Se si cerca dunque di valorizzare
le funzioni pubbliche della comunicazione televisiva
non lo si fa perché si sogna l'irripetibile “qualità” del
servizio pubblico del monopolio. Quello che si
cerca non è un ritorno al passato, ma uno
sguardo vigile ai problemi del futuro.
Roma, 29 gennaio 2004
Vicepresidente
dell'Associazione Infocivica – Gruppo di Amalfi.
Dall'intervento
di Licia Conte, consigliere di Infocivica, all'incontro
di avvio dell'attività associativa.
Dall'intervento
di Rodolfo Falvo, consigliere di Infocivica, all'incontro
di avvio dell'attività associativa.
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