Dossier di analisi della
Legge Gasparri
Legge 3 maggio 2004, n.112
Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo
e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonche' delega al
Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.
Contributo alla discussione di Bruno Somalvico
(Segretario Generale Associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi) pubblicato in cinque puntate su La Gazzetta Politica 2004
“1. Signori, il digitale”, La Gazzetta politica, XIX (18), 7 maggio 2004, p. 13; “2. C’è odore di protezionismo”, La Gazzetta politica, XIX (19), 14 maggio 2004, p. 13; “3. TV digitale e…2006”, La Gazzetta politica, XIX (20), 21 maggio 2004, p. 13; “4. Dove regna la pubblicità”, La Gazzetta politica, XIX (21), 28 maggio 2004, p. 13; “Un confronto impari”, La Gazzetta politica, XIX (22), 4 giugno 2004, p. 13.
La legge di riforma del sistema radiotelevisivo ha puntato molte delle sue carte (contestatissime dalle opposizioni, e non solo) sul pluralismo portato dal nuovo sistema.
Un confronto impari
4 giugno 2004
Ci dobbiamo misurare innanzitutto a medio termine con la globalizzazione sul nostro mercato televisivo ma anche con la duplice asimmetria tra tv generaliste (povere) e nuovi soggetti globali
Nel Regno Unito le televisioni indipendenti regionali consorziate sul piano nazionale in un solo network (Itv) e avvantaggiate dall’assenza di competizione sul mercato pubblicitario da parte del servizio pubblico Bbc (loro principale concorrente sugli ascolti), raccoglievano complessivamente nel 2001 con il 28,6% di share quasi 2,9 miliardi di euro; mentre il terzo concorrente, Channel Four, con il 10% degli ascolti raccoglieva poco più di 1 miliardo di euro.
In Francia, la prima rete commerciale nazionale, Tf1, leader assoluta negli ascolti con il 32,7% di share, raccoglieva poco meno di 1,5 miliardi di euro; in un mercato molto più frammentato come quello della Germania, la prima rete commerciale nazionale Rtl, pur essendo leader con solo il 14,8% degli ascolti, raccoglieva introiti dal mercato pubblicitario dello stesso ordine, pari a poco meno di 1,3 milioni di euro. Canale 5 dal canto suo, con il 23,5% degli ascolti, raccoglieva nello stesso anno solo 1,1 miliardi di euro, ovvero poco più di quanto raccolto da Channel Four con il 10% di ascolti nel Regno Unito. Complessivamente le 3 reti Mediaset, con 43,1% di share, raccoglievano 1,9 miliardi di euro, ovvero un terzo in meno delle risorse raccolte da Itv nel Regno Unito su un solo canale, con il 28,6% dell’ascolto!
Confrontando per ogni emittente commerciale la quota di ascolto con la quota di pubblicità raccolta, gli autori della ricerca hanno stabilito l’indice di redditività pubblicitaria. Leader assoluta risulta l’emittente commerciale tedesca rivolta ai giovani Pro 7, con un indice pari a 2,53, ovvero con una quota del 20% del mercato pubblicitario televisivo tedesco a fronte di un 8% di ascolto medio, seguita al secondo posto da Itv con 2,22, ovvero con il 59,2% del mercato pubblicitario a fronte di un ascolto medio del 26,7%, al terzo da Channel Four con 2,06, ovvero con una quota del 20,6% del mercato pubblicitario a fronte di un ascolto medio del 10%. Seguono al quarto e quinto posto altre due tv commerciali tedesche Sat Eins (con un indice di 1,96, corrispondenti al 19,8% del mercato a fronte del 10,1% dell’ascolto) e Rtl (con un indice di 1,93 corrispondenti al 28,5% e mercato a fronte del 14,8% dell’ascolto). In questa classifica dell’indice di profittabilità delle emittenti commerciali, la prima emittente della Penisola, Italia 1, arriva solo al sesto posto con 1,59, corrispondenti ad una quota del 15,3% di share pubblicitario a fronte del 9,6% dell’ascolto medio quotidiano. Quanto alla rete ammiraglia commerciale Canale 5, con un indice pari a 1,47, ovvero con il 34,5% del mercato pubblicitario televisivo italiano a fronte del 23,5 dell’ascolto medio, è addirittura al decimo posto, preceduta dalle due emittenti commerciali francesi Métropole 6 (1,58) e Tf1 (1,56), e persino dalla terza emittente commerciale tedesca, Rtl 2 (1,55).
Il primato del Regno Unito
Analizzando i fatturati delle principali imprese, Angelo Zaccone Teodosi, Flavia Barca e Francesca Medolago Albani, osservano nel 2001 come il Regno Unito sia "l’unico Paese in cui sono ben due i gruppi che superano la soglia dei 4 miliardi di fatturato", ovvero il servizio pubblico Bbc - che, grazie ai 5,5 miliardi di euro raccolti, vanta un fatturato superiore alla somma di Rai e di Mediaset, che disponevano rispettivamente di 2,5 miliardi di euro e di 2,3 miliardi di euro -, e la pay tv BSkyB - che, a sua volta, con 4,530 miliardi di euro, risultava il secondo gruppo televisivo a pagamento europeo, preceduto solo di pochissimo dalla francese Canal Plus con 4,563 miliardi.
Gli autori aggiungono che sommando i ricavi dei due principali azionisti di Itv, i gruppi Granata e Carlton, la cui fusione è in gestazione, diverrebbero addirittura tre i soggetti britannici a superare la soglia dei 4 miliardi di euro di fatturato nel 2001. In questa classifica per fatturato sia BSkyB sia Carlton/Granata risultano scavalcati oltre che dalla Bbc, solo dall’associazione delle reti pubbliche tedesche Ard, che raccoglievano complessivamente introiti per oltre 5,1 miliardi di euro.
Con queste cifre impietose ha dovuto fare i conti il nostro sistema televisivo nazionale nel contesto europeo alla vigilia della transizione dall’ambiente oligocanale analogico a quello multicanale digitale. Possiamo veramente sostenere che il sistema televisivo italiano, all’inizio del terzo millennio, si trovi a fare i conti non solo con gli effetti della globalizzazione a cominciare dalla fine dei mercati protetti, ma soprattutto con un duopolio televisivo sempre meno confortevole, composto da due giganti-nani almeno sotto il profilo della ricchezza prodotta.
Siamo ormai entrati in un sistema televisivo bi-piattaforma (reti terrestri e reti via satellite), formato da un triopolio, ovvero da una nuova struttura bicefala asimmetrica. Essa è costituita da un lato da un vecchio duopolio formato da giganti nani come Rai e Mediaset, costretti a fare i conti con il declino lento ma inesorabile della tv generalista e con la frammentazione degli ascolti; e, dall’altro lato, da una delle cinque "grandi sorelle della comunicazione" mondiale, la News Corporation di Murdoch, azionista di riferimento di Sky Italia.
L’arrivo di News Corporation e del suo tycoon - più ancora di quello nello sport di Tarak Ben Ammar e di Tf1/Eurosport, o di quello di Mtv/Viacom nelle reti musicali o di Home Shopping Europe nel settore delle televendite - ha davvero scompaginato nell’ultimo anno il nostro panorama audiovisivo nazionale.
Rupert Murdoch ha sempre avuto come vocazione quella di presiedere l’intera filiera dell’industria dei contenuti, dalla carta stampata al cinema, dalla produzione alla distribuzione audiovisiva. È divenuto leader assoluto mondiale nel mercato delle piattaforme digitali satellitari fornendo canali premium a pagamento (film + sport), ma distribuendo altresì bouquet di canali tematici basic (documentari, musica, giovani e bambini).
Contemporaneamente è presente negli Stati Uniti, in India, in Australia sul segmento televisivo generalista (controllando il 4 network televisivo americano Fox) e su quello delle reti di informazione continua attraverso Fox News, la britannica Sky News e oggi anche Sky Tg 24 trasmessa in Italia dal primo settembre 2003 via satellite proprio in modalità free-to-air e come tale divenuto diretto concorrente di Rai News 24 e di 24 Ore TV.
Capofila di imprese editoriali
Abbiamo dunque una duplice asimmetria in questo triopolio: asimmetria sui mercati di riferimento: Rai e Mediaset (ad accezione di Telecinco) operano solo in ambito nazionale da un lato; Murdoch, dall’altro lato del triopolio, è invece un operatore televisivo che opera su scala globale.
La seconda asimmetria va vista sotto il profilo dell’integrazione cross-mediale delle imprese operanti nel settore audiovisivo: Rai e Mediaset rimangono aziende specializzate nella tv generalista e solo negli ultimi anni e in maniera ancora assai marginale hanno iniziato ad avviare reti tematiche e, più recentemente, portali Internet e servizi per i nuovi telefonini.
News Corporation è invece la capofila di un colosso di imprese editoriali presenti lungo tutta la filiera di produzione e distribuzione dei contenuti: carta stampata, televisione generalista in chiaro, tv tematica, canali pay tv premium, canali pay-per-view, cinema, siti web e, oggi, anche servizi interattivi, Murdoch ha costruito il proprio impero mediatico attraverso una fitta rete di alleanze, ma non attraverso integrazioni verticali con le industrie delle telecomunicazioni. Il magnate australiano (di cui è disponibile in italiano un’accurata biografia Apocalypse Murdoch, pubblicata alla fine del 2003 da Glauco Benigni per i tipi di Cooper Castelvecchi) prudentemente rinunciato alle dispendiose avventure nella New Economy costate caro ad altri gruppi come Time Warner, fusosi con America on Line, incursioni che hanno causato ad esempio il fallimento della strategia di integrazione di Canal Plus e degli studi della Universal, oggi ceduti a Nbc/General Electric, nella conglomerata Vivendi Universal.
Francamente siamo chiamati a confrontarci nel nostro Paese con questi nuovi attori, con la consapevolezza che l’Italia è solo un piccolo mercato televisivo che genera risorse pari a poco più di 6 miliardi di euro, rispetto ai 97,6 miliardi di euro raccolti negli Stati Uniti, e che il mercato televisivo italiano non sarà certo al centro delle preoccupazioni di un gruppo mondiale come News Corporation che intende operare in qualsiasi libero mercato innanzitutto per fare profitti.
Non avendo potuto acquistare Mediaset, Murdoch ha deciso di investire perché interessato al potenziale di crescita che ritiene avere la pay tv in Italia e soprattutto per acquisire lo sfruttamento dei diritti del nostro campionato di calcio, un segmento di mercato al quale sembra molto interessato anche un altro magnate americano, John Malone, proprietario di Liberty Media, secondo azionista dopo Murdoch della News Corporation. Secondo indiscrezioni Malone attraverso Liberty Media, sembrerebbe interessato ad acquisire la seconda piattaforma Gioco Calcio sull’orlo del fallimento.
L’esempio della Germania
Con questo quadro ci dobbiamo innanzitutto confrontare a medio termine, con gli effetti della globalizzazione sul nostro mercato televisivo ma anche con questa forte e duplice asimmetria fra tv generaliste sempre meno ricche - e destinate a perdere come in Germania a termine crescenti fette di ascolto man mano che crescerà l’offerta televisiva multicanale - e nuovi soggetti a vocazione globale come Rupert Murdoch e John Malone attivi in tutti i segmenti del mercato televisivo.
Viste sotto questo profilo le polemiche che hanno infuocato gli ultimi venti mesi a proposito del passaggio di Rete Quattro sul satellite e di Rai Tre senza pubblicità, sembrano toccare aspetti più simbolici che sostanziali. Il nuovo calcolo previsto dalla Legge Gasparri del limite del 20% delle reti televisive attribuibili ad un gruppo in base al numero complessivo dei programmi televisivi nazionali disponibili su frequenze terrestri sia in tecnologia analogica sia in tecnologia digitale purché coprano oltre il 50% della popolazione, può apparire un sotterfugio per non costringere Rete 4 a rinunciare alla propria frequenza terrestre sino allo spegnimento definitivo di tutte le trasmissioni in tecnologia analogica, ma non cambia davvero la sostanza delle cose. E quand’anche venisse aperta dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni l’istruttoria per accertare l’eventuale posizione dominante di Mediaset, premessa per la dismissione entro un anno delle trasmissioni di Rete 4, questa data potrebbe coincidere con il dies ad quem che fissa il termine del regime transitorio analogico. Come tutti gli esperti sanno che la conferma voluta dalla Legge Gasparri della data del 31 dicembre 2006 fissata dal governo precedente di centrosinistra nel marzo 2001 per lo switch off, era allora - e rimane tutt’oggi - anch’essa un sotterfugio usato solo per accelerare la transizione, ma non per completarla, risultando del tutto impraticabile lo spegnimento fra 30 mesi delle trasmissioni analogiche.
Si aprirà plausibilmente a quel punto una lunga stagione di proroghe delle concessioni e di autorizzazioni a trasmettere in tecnologia analogica. L’importante non sarà di approdare al "tutto digitale" prima degli altri Paesi europei - che prevedono generalmente uno switch off definitivo fra il 2008 e il 2012 - ma di non arrivare troppo tardi, come abbiamo fatto in passato con la televisione a colori e con la televisione via cavo.
(Bruno Somalvico) |