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Dossier di analisi della Legge Gasparri.
“3. TV digitale e…2006”, La Gazzetta politica, XIX (20), 21 maggio 2004, p. 13

 

 

 

 

 

 

 

Dossier di analisi della Legge Gasparri

Legge 3 maggio 2004, n.112


Norme di principio in materia di assetto del sistema radiotelevisivo e della RAI-Radiotelevisione italiana S.p.a., nonche' delega al Governo per l'emanazione del testo unico della radiotelevisione.

Contributo alla discussione di Bruno Somalvico
(Segretario Generale Associazione Infocivica - Gruppo di Amalfi) pubblicato in cinque puntate su La Gazzetta Politica 2004

“1. Signori, il digitale”, La Gazzetta politica, XIX (18), 7 maggio 2004, p. 13; “2. C’è odore di protezionismo”, La Gazzetta politica, XIX (19), 14 maggio 2004, p. 13; “3. TV digitale e…2006”, La Gazzetta politica, XIX (20), 21 maggio 2004, p. 13; “4. Dove regna la pubblicità”, La Gazzetta politica, XIX (21), 28 maggio 2004, p. 13; “Un confronto impari”, La Gazzetta politica, XIX (22), 4 giugno 2004, p. 13.


La legge di riforma del sistema radiotelevisivo ha puntato molte delle sue carte (contestatissime dalle opposizioni, e non solo) sul pluralismo portato dal nuovo sistema.


Tv digitale e ..... 2006

21 maggio 2004

La data fissata dalla Legge Gasparri (la stessa voluta nel 2001 dal centro-sinistra) è un escamotage per accelerare il processo

Dal 31 dicembre 2003 sono rese attive al fine dello sviluppo del pluralismo le reti digitali terrestre. Inoltre la legge Gasparri impone alla Rai l’obbligo di coprire a partire dal 1 gennaio 2004 un bacino superiore al 50% della popolazione che salirà al 70% alla fine del 2004. L’incentivo di 150 euro previsto nella finanziaria per l’acquisto del ricevitore digitale terrestre ha consentito in questi primi mesi del 2004 a oltre 200 mila famiglie di iniziare a ricevere programmi televisivi digitali, metà dei quali sinora non erano sinora disponibili sulle reti terrestri in tecnologia analogica.
La televisione digitale terrestre costituisce uno dei fattori centrali del sistema audiovisivo italiano prossimo venturo. Nell’epoca della globalizzazione e della convergenza fra i media, governare bene il processo di introduzione della televisione digitale terrestre in Italia significa esercitare, nell’attribuzione delle nuove risorse, un atto politico di sovranità nazionale di governo e di sviluppo disciplinato del territorio dopo decenni di crescita caotica. Sotto questo profilo la legge Gasparri definitivamente approvata precisa e rafforza l’impianto avviato nella legislatura precedente per governare la transizione verso la televisione digitale terrestre.
Sono ormai noti i vantaggi che la Diffusione Digitale Terrestre è in grado di sviluppare ma consentitemi di ribadirli in questa occasione: a) un migliore utilizzo dello spettro delle frequenze (la risorsa spettrale può soddisfare le aspettative della domanda); b) il miglioramento del servizio televisivo in termini di qualità: robustezza del segnale da interferenze e riflessioni (e quindi eliminazione di alcuni vincoli intrinseci del satellite); c) l’accesso capillare al fine di assicurare un carattere universale ai servizi offerti; d) la portabilità e mobilità del servizio, ossia la possibilità ben presto di ricevere la tv su un terminale mobile, ad esempio su un telefono cellulare; e) l’offerta di una serie di servizi radiofonici e televisivi aggiuntivi estesi in ambito territoriale, nonché la possibilità di fornire nuovi servizi di tipo interattivo e con accesso ad Internet. Convergenza tra i media, accesso graduale di tutti i media (radio, tv carta stampata) alla multimedialità e alla comunicazione interattiva: la rivoluzione digitale costituisce il perno di questa svolta epocale iniziata a metà degli anni Novanta del secolo scorso e destinata a completarsi in questo primo decennio del Terzo Millennio.
Finita la prima fase di sperimentazioni tecniche, il primo gennaio del 2004 sono iniziate in alcune aree le trasmissioni digitali terrestri, anche su spinta delle indicazioni contenute nella Legge Gasparri che assegna al servizio pubblico un ruolo di apripista nell’illuminazione del territorio con i nuovi segnali. In ambito nazionale sono stati avviati multiplex, ovvero canali che gestiscono le frequenze per le trasmissioni digitali terrestri, non solo dalla Rai, ma anche dal gruppo Mediaset, da Telecom Italia Media, e da un nuovo entrante, titolare di due società Europa TV e Prima Tv. Al loro fianco esistono per ora 4 multiplex che trasmettono programmi televisivi digitali terrestri in ambito locale a Milano, Genova, Roma e Torino.
Se analizziamo i 25 canali televisivi digitali terrestri disponibili a Roma osserviamo come l’offerta televisiva digitale terrestre non si limiti ad offrire il cosiddetto simulcast, ovvero la doppia illuminazione delle emittenti nazionali di Rai Mediaset e la Sette, disponibili sia in standard analogico Pal sia in standard digitale DVB-T, ma si avvalga di nuovi canali del tutto inediti come ad esempio Rai Doc e Rai Utile o di canali come Rai News 24 disponibili sinora solo via satellite. Dunque nuovi canali digitali terrestri in larga parte trasmessi su scala nazionale in chiaro si sono aggiunti ai canali tradizionali disponibili con un’antenna radiale terrestre.
Ma il ricorso al simulcast si renderà necessario per tutti, e nella fattispecie per le emittenti locali, perlomeno nella fase finale della transizione al fine di completare in maniera non traumatica il processo di sostituzione degli apparati per gli utenti, e contemporaneamente di non penalizzare le emittenti tradizionali in chiaro assicurando loro nella fase di transizione perlomeno la medesima platea irradiata in tecnologia analogica sino ad oggi.
Il digitale terrestre arriva per ultimo otto anni dopo l’avvio delle trasmissioni televisive digitali via satellite e poco meno di tre anni dopo l’approvazione della Legge 66 e del relativo Regolamento da parte dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazione che hanno fissato l’iter della transizione.
Sin dalla sua presentazione nel settembre 2002 abbiamo apprezzato l’impianto di fondo del disegno di legge Gasparri che si proponeva una volta realizzati i binari dalla Legge 66, di far salire l’Italia sul treno della televisione digitale terrestre. Si tratta di un effettivo passo in avanti reale in un paese che ha perso troppe occasioni, incapace di governare con scelte chiare la transizione dalla tv in bianco e nero a quella a colori, che non ha realizzato il cablaggio del paese negli anni Settanta e Ottanta, quando essa era ancora possibile approvando una legge demenziale che imponeva il cosiddetto mono-cavo, che ha ritardato lo sviluppo della televisione a pagamento e del satellite per le ragioni sopra-ricordate.
Va però detto che la nuova Legge anche in questo caso sulla scia della Legge 66 del 2001 ha indubbiamente favorito i cosiddetti incumbent, ossia Rai Mediaset, Telecom Italia e gli altri concessionari analogici nazionali consentendo loro di acquisire grazie al trading delle frequenze nel triennio 2001-2004 le nuove frequenze (sulle quali le principali emittenti nazionali hanno iniziato le sperimentazioni digitali) e confermando la data del 2006: anche sotto questo profilo in perfetta sintonia con la legge approvata dal governo di centrosinistra.
L’Italia ha così avviato un proprio originale modello definito dall’ Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni "flessibile-orizzontale" che dovrebbe favorire una transizione a macchia di leopardo consentendo di iniziare effettivamente a spegnere le tradizionali trasmissioni in tecnologia analogica (il cosiddetto switch off) a partire dal 2006.
Il nuovo calcolo previsto dalla Legge Gasparri del limite del 20% delle reti televisive attribuibili ad un gruppo in base al numero complessivo dei programmi televisivi nazionali disponibili su frequenze terrestri sia in tecnologia analogica sia in tecnologia digitale, purché coprano oltre il 50% della popolazione, può apparire un sotterfugio per non costringere Rete 4 a rinunciare alla propria frequenza terrestre sino allo spegnimento definitivo di tutte le trasmissioni in tecnologia analogica, ma non cambia davvero la sostanza delle cose. E quand’anche venisse aperta dall’Autorità l’istruttoria per accertare l’eventuale posizione dominante di Mediaset (premessa per la dismissione entro un anno delle trasmissioni di Rete 4), questa data potrebbe coincidere con il dies ad quem che fissa il termine del regime transitorio analogico.
Tutti gli esperti sanno che la conferma voluta dalla Legge Gasparri della data del 31 dicembre 2006 per lo switch off, fissata dal governo precedente di centrosinistra nel marzo 2001, era allora e rimane oggi un sotterfugio per accelerare la digitalizzazione, risultando del tutto inapplicabile su tutto il territorio e aprendo plausibilmente una lunga stagione di proroghe delle concessioni e delle autorizzazioni a trasmettere in tecnologia analogica. La data del 31 dicembre 2006 va dunque vista non come un terminus ad quem ma piuttosto come un terminus a quo, ossia come il momento a partire dal quale il processo di transizione giunge a maturazione e diventa irreversibile, imponendo a costruttori di apparati, operatori di rete e fornitori di contenuti, di attivare una fase decisiva.
In effetti solo quando la maggioranza delle famiglie italiane avrà adottato i nuovi apparati (decoder e televisori digitali integrati), le emittenti terrestri che trasmettono in ambito locale potranno rinunciare alle proprie frequenze analogiche. Ma sin d’ora in questa nuova fase di avvio dei mercati si tratta di riuscire con pragmatismo e flessibilità a superare gli innumerevoli scogli legati alla penuria delle frequenze, consentendo non solo alle emittenti nazionali che hanno potuto acquistare le frequenze per avviare i primi multiplex ma anche alle televisioni locali di iniziare una transizione non traumatica che consenta loro di approdare nei tempi verso il tutto digitale.
Anche se il vero e proprio periodo di trasformazione, inizialmente previsto dal 2003 al 2006, è destinato ad iniziare solo a partire dal 2006 e a concludersi probabilmente non prima del 2010-2012 se non oltre, la transizione al tutto digitale non può più essere ignorata dalle emittenti locali. Particolarmente delicata sarà per le emittenti locali la fase finale di questo periodo, ovvero quella che precederà lo spegnimento definitivo delle trasmissioni analogiche.
Contemporaneamente mano a mano che si libereranno le frequenze analogiche, essendo ormai vantaggioso per gli incumbent il passaggio al tutto digitale, sarà importante prendere provvedimenti al fine di assegnare le licenze per le trasmissioni digitali terrestri a nuovi entranti incoraggiando al contempo accorpamenti in ambito locale fra fornitori di contenuti provenienti tradizionalmente da media tanto diversi come la carta stampata e la televisione e che nei prossimi anni potranno invece "spalmare" nuovi contenuti e nuovi servizi attraverso il digitale terrestre anche su nuovi terminali mobili di telecomunicazione.
In base al Piano Nazionale delle Frequenze e all’apposito Regolamento predisposti dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il Ministero delle comunicazioni a partire dal 2003 ha iniziato a rilasciare i titoli abilitativi, e in particolare le licenze, ai fornitori di rete e le autorizzazioni agli editori dei contenuti per le trasmissioni digitali terrestri sia in ambito nazionale sia in ambito locale. In ambito nazionale il Piano prevede a regime 12 multiplex in grado di veicolare 60 programmi. A livello regionale sono previsti 6 multiplex in grado di veicolare 30 programmi. A livello provinciale 18 multiplex potranno veicolare 72 programmi. Esiste un quarto livello locale non pianificato ma possibile.
I titolari di due concessioni in base alla Legge 66 e al Regolamento dell’AGCOM del 2001, Rai e Mediaset, hanno così dovuto cedere il 40% della propria capacità trasmissiva a terzi. Tale obbligo di riserva è stato anch’esso confermato dalla Legge Gasparri. La Rai si limita così a trasmettere 8 canali (compresi i tre canali generalisti).
La Legge Gasparri prevede nuovi vincoli antitrust in ambito locale: un editore potrà possedere proprie emittenti locali in un massimo di sei bacini regionale ed essere proprietario di 3 emittenti in una singola regione, non potendo complessivamente raggiungere (una volta che verrà attuato il PNAF) oltre il 50% della popolazione. La Legge prevede peraltro la possibilità di realizzare 12 ore in ambito nazionale. . Grazie alla possibilità dell’interconnessione con altre emittenti lungo tutto il territorio della Penisola, e beneficiando altresì della possibilità di differenziare il proprio segnale per altre sei ore giornaliere in bacini provinciali grazie all’uso di frequenze multiple, un editore di televisioni locali potrebbe avvalersi di nuovi e più cospicui introiti.
La raccolta pubblicitaria delle tv locali potrebbe aumentare consentendo loro di offrire - come avviene per le reti britanniche regionali di ITV - programmi di qualità sia a livello nazionale sia a livello locale. Rimane difficile stabilire se da nuove syndication potrà effettivamente nascere sin dai prossimi mesi un terzo polo generalista terrestre sulle attuali frequenze analogiche - come ipotizzato da taluni esperti -, o se dovremo aspettare anche in questo caso l’eventuale arrivo di nuovi entranti solo quando il digitale terrestre uscirà dall’attuale situazione di nicchia, ovvero solo al momento della fine della transizione quando si saranno rese libere proprio molte di quelle frequenze oggi utilizzate proprio dalle tv locali. Ma forse nel 2010 o nel 2015, con la crescita di altre piattaforme distributive (satellite, cavo, ADSL, tv su terminali mobili) sarà troppo tardi! E il nuovo "paradiso" digitale terrestre potrebbe rivelarsi solo una chimera.

( Bruno Somalvico )