INFOCIVICA ritorna alla home “Infocivica vuole  facilitare il rapporto tra i cittadini, le istituzioni e gli organismi pubblici favorendo l'ideazione e la realizzazione di programmi di servizio pubblico e 
di servizi di pubblica utilità nella società dell'informazione.“
Home
Chi siamo
Documenti
Proposte editoriali
Eventi
Media Club e Forum di Infocivica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL SEGRETO DI BINO

di Bruno Somalvico

Bino non amava i coccodrilli. Né la retorica. Il pessimismo della ragione e la certezza di vivere tempi difficili gli impedivano ormai di assumere quel ruolo diplomatico che per tanti anni aveva esercitato come Portavoce e fondatore dei servizi informativi della Commissione Europea.
Era amato o era odiato. Aveva simpatie e tante antipatie.
Ha mantenuto lucidità e fermezza nelle analisi sino alla fine, anche negli ultimi editoriali scritti lo scorso anno per Infocivica.
Era, come dicono i francesi, un uomo di convinzioni, ovvero con solidi principi, quelli di un servitore disinteressato del bene pubblico e della collettività, al servizio delle istituzioni e di quegli strumenti che istituzioni e attori politici si attribuiscono per comunicare con i cittadini ed agire.
Amava la storia e la geografia storica. Conosceva bene tutta l’Europa e la sua storia ma, come molti della sua generazione, temeva il primato della geo-politica, gli ricordava qualcosa di sinistro.
Ho scritto due libri con Bino, dopo aver collaborato attivamente insieme a lui al lancio del primo canale satellitare della Rai nel 1990, Rai Sat. Erano i primi passi delle televisioni fuori dai confini nazionali che avrebbero assunto, grazie a satelliti come l'Olympus dell’Agenzia Spaziale Europea, una copertura pan-europea. L’aggettivo pan-europeo lo infastidiva e ci mise molto prima di accettarlo e utilizzarlo nel comunicato stampa e più tardi nei nostri testi. Lui aveva conosciuto gli orrori del nazismo e le sue folli teorie sulla conquista del Lebensraum. Io per fortuna no.
Nel 1936, undicenne, avendo lo zio presidente del Coni, aveva potuto assistere all'inaugurazione dei Giochi Olimpici di Berlino in presenza di Hitler. Poi avrebbe imparato il tedesco, dopo aver letto per la prima volta, giovanissimo, un compendio di Marx in francese.
Nell’immediato dopoguerra, fresco di Laurea e grazie alla conoscenza delle tre principali lingue europee, sarebbe diventato uno studioso di diritto comparato, anche per uscire da quell’aria di autarchia culturale in cui era cresciuto nell'Università italiana nei primi anni Quaranta. Incontrando poi, nell'immediato dopoguerra, in un convegno internazionale di giovani universitari, Olof Palme, del quale divenne un grande amico, rimane folgorato dalla cultura cosmopolita del futuro leader della socialdemocrazia svedese, prendendo coscienza del ritardo culturale e scientifico italiano.
Bino sin da quell’incontro vuole in qualche modo riscattarsi e lavorare per avvicinare l'Italia al meglio di quanto esprimessero l'Europa e le sue grandi culture.
La sua apertura mentale e ampia conoscenza delle lingue, della storia dei grandi Paesi europei e dei loro ordinamenti, lo spinge quasi naturalmente ad "entrare in Europa", rinunciando a proseguire la carriera universitaria in Italia, dopo aver maturato nel corso di quasi tutti gli anni Cinquanta un'esperienza nella Magistratura italiana, quando a capo della Procura di Milano vi era il padre di Francesco Saverio Borrelli.
Bino allora è un appassionato lettore de Il Mondo di Pannunzio, un erede disperso della famiglia azionista che si avvicinerà solo moltio più tardi al socialismo italiano quando il PSI avrà decisamente rotto con la tradizione filosovietica e antiatlantica.
Come socialdemocratici e laburisti, è un uomo dell’Occidente, amico degli americani, degli inglesi, dei francesi eredi della France Libre e di tutti coloro che hanno liberato l’Italia dall’onta dell'occupazione nazista. Appartiene a una sinistra liberal-democratica che rifiuta, nell’aprile 1948, di votare per il Fronte Popolare, una sinistra che sembra condannata per molti anni a rimanere minoritaria nel nostro Paese o, comunque, terza forza, in fin dei conti irrilevante nonostante i tentativi riformisti nella stagione del Primo Centro-Sinistra dove trova impegnati vecchi amici come Giorgio Ruffolo.
Una sinistra europea, laica, liberale e riformista, che non c'è mai stata
essendo, quella ufficiale, schiacciata fra i due partiti dominanti: sempre a capo del Governo la DC e sempre inutilmente all’Opposizione, il PCI, a causa del fattore K, ben evidenziato dal suo amico Alberto Ronchey.
Bino ha sempre amato l’Italia, ha sofferto la cosiddetta stagione della "morte della patria" e condannato una certa vulgata antifascista della resistenza, quella che negava i fondamenti del patriottismo in nome del dogma internazionalista. Ma anche nella sua maturità, quando favorisce in qualche modo lo sdoganamento presso le istituzioni comunitarie dei comunisti italiani, ricevendo, per la prima volta, a Bruxelles alla vigilia delle prime elezioni europee a suffragio universale, un leader del PCI: Giorgio Amendola, Bino non perde l'occasione per evidenziare in un bel saggio, Carter e all’Italia, limiti e virtù della loro svolta eurocomunista.

Continua a rimpiangere l’assenza di una forza di sinistra chiaramente dalla parte dell’occidente come l’SPD di Willy Brandt, il PS di François Mitterrand e lo stesso PSOE di Felipe Gonzalez, grandi leader a capo di forze politiche di sinistra che, senza rimanere in mezzo al guado, tendono ad assumere vocazione maggioritaria, non solo in paesi come il Regno Unito, di consolidata tradizione liberale, ma anche in quelli allora a sovranità limitata come la Germania Occidentale della fine degli anni Sessanta e dell’inizio degli anni Settanta, o in paesi appena transitati verso la democrazia come la Spagna post franchista dei primi anni Ottanta.
Inizialmente con grande speranza, poi con sempre maggior disincanto, guarderà all’esperienza socialista craxiana, prima del suo tragico epilogo, coisì come alle successive avventure di una sinistra sempre meno capace di interpretare i bisogni della società negli anni dell’infinita transizione verso una seconda Repubblica mai nata, salvando solo le manovre di rigore compiute dal primo governo Amato e poi da Ciampi.
Dopo la maledizione dello scioglimento del Partito d'Azione e la diaspora dell’azionismo, di fronte al dominio incontrastato, sino al 1956, del frontismo socialcomunista e denunciando la subalternità, socialdemocratica prima e socialista poi, nei confronti della Democrazia Cristiana, sia nei governi centristi che in quelli di centrosinistra, Bino aspira ad una sinistra davvero europea.
Con questo spirito negli anni Settanta si presenta - più come antipatizzante compagno di strada che come convinto militante - candidato nelle file socialiste nel suo nord-est alle europee del 1979, rifiutando peraltro una, all’epoca quasi matematicamente sicura, elezione come indipendente nelle più disciplinate file comuniste, con le quali viene invece eletto a Strasburgo l’amico ex Commissario Altiero Spinelli, che avrebbe voluto designarlo come suo successore alla Commissione a Bruxelles.
Con lo stesso disincanto, ma sempre con grande spirito di servizio, dichiara ad Antonio Maccanico la sua disponibilità ad occuparsi degli affari europei in occasione del suo tentativo, all’inizio del 1996, di formare un nuovo governo per salvare la legislatura iniziata con il primo Governo Berlusconi.
Ma, fatte salve queste due brevi parentesi, Bino in questi anni mantiene soprattutto l’occhio critico dell’osservatore, del docente a contratto, del saggista e del consulente per un’azienda come la Rai.
Gli ultimi due decenni Bino li dedicherà ad aggiornare la sua celebre Europa difficile, la cui prima uscita risale alle edizioni di Comunità, per le quali ricevette nel 1961 il Premio Olivetti dall’amico di una vita Massimo Fichera, segretario della Fondazione, e che ritroverà poi in Rai, quando, finalmente libero da impegni istituzionali, inizia a scrivere puntualmente articoli e commenti sugli affari europei, su giornali e in televisione.
Avvia in parallelo un ruolo sempre più intenso di consulente per la Rai sulle questioni europee, partecipando attivamente nel 1997 all’estensione del Protocollo sui servizi pubblici annesso al Trattato di Amsterdam, anno nel quale ho avuto la fortuna di poter pubblicare insieme a lui, preso il Mulino, il nostro primo saggio su La Fine della Commissione di Massa.
Inizia un sodalizio che, a partire dal settembre 2000 con l’incontro di Amalfi, ci vede impegnati nel lancio della nostra associazione Infocivica.
Varie volte lo invito a scrivere la sua autobiografia e, soprattutto, a raccontare i "formidabili" anni della sua formazione a Treviso e del suo impegno nella Resistenza. Ci provai invano. Come Silone, anche Bino ha tenuto fede all’impegno di non svelare il suo segreto.
Prima di impegnarsi nelle ultime settimane in montagna con le brigate di Giustizia e Libertà, come Silone e Spinelli, è stato inizialmente un partigiano comunista. Sino al tragico eccidio di Porzus ai danni dei partigiani cattolici e laico-socialisti della Brigata Osoppo, quando poco meno che ventenne rifiuta di partecipare ai massacri rompendo definitivamente con il Partito Comunista. Gli viene risparmiata la giovane vita in cambio del giuramento a mantenere un silenzio assoluto, sino alla morte, sulla strage di cui è stato testimone.
A questo punto mi viene spontaneo ricordargli che la stessa storiografia di matrice comunista è diventata in qualche modo, dopo De Felice, revisionista a modo suo. Pavone da anni ha riconosciuto che si trattò di una guerra civile. In ogni caso - insisto - una sua testimonianza, a mio parere, sarebbe ancora preziosa per scandagliare quella tragica macchia interna alla guerra partigiana. Ma lui testardamente rifiuta minacciando di mandarmi definitivamente a quel Paese. Un giuramento è un giuramento. Il segreto di Bino può essere svelato solo ora che riposa con le sue ceneri nella sua amata Treviso.

Bruno

17 febbraio 2011