RIFLESSIONI SULL'IDEA DI TESTATA UNICA ALLA RAI
Contributo al dibattito "Una testata unica per la Rai?
di Lino de Seriis - 25 giugno 2011
La questione posta da Somalvico di ipotizzare per il futuro assetto della Rai una testata giornalistica unica come rimedio all’attuale tripartizione, espressione delle corrispondenti aree ideologiche dei principali partiti politici italiani dell’epoca della prima repubblica, merita un approfondimento.
Infatti ogni volta che si pensa a rinnovare gli assetti strutturali e organizzativi dell’azienda pubblica per “migliorare” la qualità complessiva della produzione radiotelevisiva, mai giunta a livelli così bassi come oggi, salvo poche eccezioni, non si riesce mai a chiarire senza ambiguità l’ intenzione dei paladini del riformismo libertario, improvvisamente risvegliatisi dopo il soporifero letargo del conformismo di parrocchia, o meglio, di parrocchie, perché il riferimento non riguarda soltanto quella di area cattolica.
Insomma, se è vero che il pluralismo, inteso come arricchimento nel raccontare e interpretare la realtà secondo punti di vista differenti, è stato tradito, perché impoverito e appiattito nel corso degli ultimi decenni da logiche di schieramento, non è detto che la testata unica in quanto tale possa garantire “autorevolezza e libertà all’informazione” oppure “qualità…competenza degli operatori…rapidità di intervento e macchine sempre più sofisticate…”
D’altra parte basti pensare all’esperienza già vissuta, anche se in un contesto diverso, nella fase iniziale della televisione e fino alla riforma del sistema radiotelevisivo del 1975, quando la testata unica era l’espressione del prevalente e prevaricante punto di vista del governo, a guida perennemente democristiana.
In realtà, in quegli anni, grazie alla duplicazione della testata unica in TG1 e TG2, ci fu un tentativo serio di sganciare la gestione dell’informazione radiotelevisiva dall’ingerenza del governo e dei partiti. E questo fu reso possibile con due mosse. La prima di carattere legislativo, perché la legge di riforma spostava il controllo dell’attività della RAI dalle mani del Governo a quelle del Parlamento con l’istituzione della Commissione Parlamentare d’indirizzo e vigilanza delle trasmissioni radiotelevisive. La seconda di carattere politico, dal momento che l’attribuzione di responsabilità assegnata ai primi direttori di testata post riforma, Emilio Rossi per il TG1 e Andrea Barbato per il TG2, fu interpretata e realizzata nel migliore dei modi, anche grazie alle notevoli capacità messe in campo da corpi redazionali, selezionati professionalmente e formatisi sul campo, finalmente liberati dall’asfissiante condizionamento dei fiduciari governativi inseriti ad arte nell’assetto gerarchico dell’azienda.
Insomma, il nodo della questione, oggi come allora, non è solo quello di trovare la formula teorica che possa garantire il maggior tasso di pluralismo possibile, quanto piuttosto di realizzare un modus operandi veloce, diretto, senza filtri, tale da consentire a tutti gli operatori che, dentro e fuori la RAI, concorrono a produrre programmi radiotelevisivi, di poter svolgere il proprio mestiere con senso di responsabilità e secondo criteri di assoluta indipendenza di giudizio e totale autonomia professionale.
A partire da qui seguono tutte le altre questioni relative alla necessità di gestire la produzione, seguendo il passo dello sviluppo tecnologico e calibrando le scelte in maniera accorta dal punto di vista economico, ma sempre con l’occhio capace di cogliere le opportunità che il mercato audiovisivo offre non solo in termini di macchine, ma anche di innovazione culturale, di ricerca e di scoperta, formazione e valorizzazione di nuovi mestieri e nuovi talenti.
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